TAF-Milano, Team Magnesi-Osimo, Estonia: tre ring, tre sogni, un solo grido: Il pugilato è vivo
Quando pensavi che fosse finita, quando gli scettici avevano già scritto l’epitaffio, il pugilato italiano si rialza e ti guarda dritto negli occhi. E quella sera dell’8 novembre 2025, ti ricorda perché questo sport è immortale.
Il ruggito che zittisce i profeti di sventura
Fateli tornare nelle loro tane, gli uccelli del malaugurio. Fateli sparire, i cinici che hanno decretato la morte del pugilato ogni volta che il vento soffiava contro. Perché l’Allianz Cloud di Milano ha fatto il tutto esaurito in soli otto giorni. Ottomila anime che hanno detto: “Noi ci siamo. E siamo affamati.”Non è solo un numero. È una dichiarazione di guerra contro l’indifferenza. È la prova che quando offri autenticità, passione, storie vere che fanno battere il cuore, la gente risponde. Sempre. Senza esitazione.Otto match di boxe professionistica, quattro titoli in palio. Ma queste non sono semplici statistiche da comunicato stampa. Sono vite che si intrecciano. Destini che collidono. Sogni che stanno per diventare realtà o frantumarsi in mille pezzi sotto le luci accecanti del ring.E mentre Milano si prepara a tremare, a Osimo qualcosa di altrettanto potente sta per accadere. Il PalaBaldinelli diventa tempio, arena, campo di battaglia dove il Team Magnesi porta due titoli internazionali e un nome che fa vibrare l’anima di chiunque conosca il pugilato italiano: Aziz Abbes Mouhiidine.Questa non è una serata di boxe. È un movimento. È la risposta di un intero paese a chi aveva sentenziato che il pugilato non interessava più a nessuno.
Milano: dove i gladiatori moderni scrivono la storia
Nel main event, Dario “Spartan” Morello (25-1) sale sul ring contro lo svizzero Faton Vukshinaj (17-1, 2 pareggi) per il titolo EBU Silver dei pesi medi. E già il soprannome ti dice tutto: Spartan. Spartano. Uno che non conosce la parola “ritirata”.Morello, già campione italiano e detentore della cintura global WBO tra i welter, dal suo passaggio al TAF ha collezionato quattro vittorie significative, tutte a Milano: Joshua Nmomah, Luca Chiancone, Felice Moncelli e, lo scorso 15 maggio, Yassine Hermi per il titolo nazionale dei medi. Quattro vittorie. Quattro scalini verso l’Olimpo. E ora il quinto, il più ripido, il più pericoloso.Vukshinaj non è uno che viene a fare numero: 70% di vittorie per KO, potenza da categoria superiore. È il tipo di avversario che quando ti colpisce, senti l’eco del pugno fino al giorno dopo. È quello che ti guarda dall’altra parte del ring e ti chiede silenziosamente: “Sei sicuro di voler essere qui?”E Morello risponde senza esitazione: “Mi aspetto un avversario che viene avanti, ma lo affronterò. Io non scappo”.
Io. Non. Scappo.
Quattro parole che definiscono un fighter. Quattro parole che separano i sognatori dai guerrieri. Perché puoi avere tutto il talento del mondo, tutta la tecnica, tutti gli allenamenti migliori. Ma se quando il momento diventa duro, quando l’avversario ti mette alle corde, tu scappi? Allora non sei un fighter. Sei solo qualcuno con i guantoni.”Sono molto contento e impaziente di sentire il pubblico urlare il mio nome. I pianeti si stanno allineando e guardiamo già a nuove sfide europee”, dice Dario. E nei suoi occhi c’è quella fame. Quella consapevolezza che il titolo EBU Silver è una tappa obbligata verso la corona continentale, il prestigioso EBU Gold.Non è un arrivo. È solo l’inizio di qualcosa di più grande.
Quando i leoni entrano nell’arena
Ma fermatevi un attimo. Respirate. Perché se pensate che Morello-Vukshinaj sia l’unica ragione per cui ottomila persone hanno comprato il biglietto, vi sbagliate di grosso.Nel co-main event, Jonathan Kogasso (16-0) affronterà il francese Brandon Deslaurier (19-5, un pareggio) nei pesi massimi leggeri. Kogasso è ancora imbattuto. Sedici vittorie, zero sconfitte. Ma il record perfetto è sia una benedizione che una maledizione. Perché ogni volta che sali sul ring, non stai solo combattendo il tuo avversario. Stai combattendo la pressione di mantenere quello zero.”È una sfida che arriva al momento giusto e che mi servirà per fare esperienza e crescere in consapevolezza. Miro ai massimi livelli e per arrivarci bisogna procedere passo dopo passo”, dice con la saggezza di chi sa che la fretta è nemica della longevità nel pugilato.E Deslaurier non ha mai perso prima del limite. Mai. Kogasso è specialista del KO, ma quella sera troverà qualcuno che non si piega. Qualcosa dovrà cedere. E quando lo farà, l’Allianz Cloud tremerà.Poi ci sono i titoli italiani. Francesco Paparo (11-1, un pareggio) contro Catalin Ionescu (16-4, un pareggio) per la cintura dei superpiuma. Mohamed Elmaghraby (12-0) contro Davide De Lellis (11-3, 3 pareggi) per il titolo dei mediomassimi.E la semifinale per il titolo italiano tra Christian Mazzon (13-5) e Francesco Russo (13-5). Due record identici. Due storie parallele. Due uomini che sanno che quella sera, uno di loro farà un passo avanti verso il titolo, e l’altro tornerà indietro, a ricominciare.Non sono solo match. Sono esistenze che si definiscono in 36 minuti o meno. Sono carriere che si costruiscono o si demoliscono in tre round. Sono famiglie che sperano, sacrifici che cercano giustificazione, sogni che aspettano di materializzarsi o dissolversi.
The Art of Fighting: quando lo sport diventa filosofia
Edoardo Germani, fondatore di TAF, racconta con emozione: “Sono felice di un dato: sold out in soli 8 giorni all’Allianz Cloud. Il nostro obiettivo è quello di alzare sempre l’asticella, aumentare gli investimenti e di conseguenza il livello tecnico. TAF nasce per condividere dei valori, perché alla base di questo sport ci sono principi importanti. Non vuole essere una semplice promotion, ma un progetto che trasmette qualcosa di autentico e che racconta, attraverso i nostri atleti, storie vere e appassionanti”.The Art of Fighting. L’arte di combattere. Ma non è solo un nome accattivante. È una dichiarazione di intenti.Arrivato all’undicesima edizione, il movimento, oltre a incoraggiare la preparazione fisica dei suoi atleti, si contraddistingue per la promozione e il sostegno di valori come disciplina, educazione, perseveranza.
Perché il pugilato, quando è fatto bene, non è violenza. È disciplina che diventa arte. È sacrificio che diventa identità. È paura che diventa coraggio ogni volta che suona la campana.E la telecronaca sarà affidata a Davide Dezan, su Canale 20 in differita alle 23:30. Perché questa serata merita voci che la capiscano. Che sentano cosa significa salire su quel ring. Che sappiano tradurre in parole quel silenzio assordante prima che l’arbitro dica “boxe”.
Osimo: dove nascono le leggende
Ma mentre Milano si prepara al suo momento di gloria, a 280 chilometri di distanza, al PalaBaldinelli di Osimo, sta per accadere qualcosa che gli appassionati di pugilato italiano aspettano da mesi.
Il Team Magnesi porta sul ring due titoli internazionali: l’IBF international con Charlemagne Metonyekpon contro Jose Rivas, e il WBC del Mediterraneo con Saad Fathi Saad contro Albi Sorra. E per chi non potrà essere presente, la serata sarà trasmessa in diretta su Repubblica.it, sul canale YouTube della FPI e sul canale 244 del digitale terrestre FightersLife TV.Nel sottoclou, il prossimo sfidante per l’EBU silver Manuel Rizzieri farà la sua apparizione. Ma l’attenzione, tutta l’attenzione, è concentrata su un nome. Un nome che porta con sé un peso enorme. Un peso fatto di aspettative, ingiustizie, dolore e una fame di riscatto che potrebbe muovere montagne.
Aziz Abbes Mouhiidine.
Il guerriero ingiustamente caduto che si rialza più fortePapà marocchino e mamma campana, cresce nel mito dei mostri sacri della boxe internazionale. Inizia con il karate e il kickboxing ma alla fine sceglie il pugilato. Merito del padre, scomparso prematuramente qualche anno fa, che da piccolo gli fece vedere sul letto di casa quello che poi sarebbe diventato il suo film preferito: ‘Ali’, interpretato da Will Smith.Muhammad Ali. Il più grande. Il ragazzo di Louisville che divenne leggenda. E ora Aziz, il ragazzo di San Giuseppe Vesuviano, sta cercando di seguire le sue orme.Maniacale nell’allenamento e nell’alimentazione, può vantare nel suo palmares un oro continentale e due argenti mondiali, l’ultimo ottenuto nel maggio 2023 a Tashkent. Risultati che, assieme ai due ori ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona 2018 e Orano 2022, gli danno ancora più consapevolezza e determinazione.Due argenti mondiali. Un oro europeo. Due ori mediterranei. Numeri che raccontano di un campione assoluto. Di uno che quando sale sul ring, sai che vedrai qualcosa di speciale.
E poi arrivò Parigi 2024.
Era il favorito numero uno per l’oro, nonché una delle punte di diamante dell’intera spedizione italiana alle Olimpiadi di Parigi 2024. Eppure, probabilmente, c’era già chi aveva deciso che a vincere sarebbe dovuto essere qualcun altro.Un match. Un solo maledetto match. Mouhiidine ha dominato senza discussioni la seconda e la terza ripresa. Non per i giudici.Un furto. Chiamiamolo con il suo nome. Un’ingiustizia così palese che ha fatto male anche a chi guardava da casa. Figuriamoci a lui.
“È stato un momento veramente brutto, mi è caduto il mondo addosso. Ero proprio il papabile per l’oro olimpico e invece ho disputato un solo match. Però la mia fidanzata Federica, mia mamma Emilia e il mio maestro Gennaro Boffa mi hanno aiutato a rialzarmi. ‘Ora metti alle spalle Parigi, per l’oro ci riproverai alla prossima’. Senza di loro non ce l’avrei fatta, sarei caduto in un abisso: è stato atroce”.
Sentite queste parole. Sentite il dolore, ma anche la forza. Perché Aziz ha fatto quello che fanno i grandi: ha trasformato il dolore in carburante.
“Io dopo i Giochi mi sono proprio allontanato dal mondo del pugilato, mi era passata anche la voglia di allenarmi. È subentrato quasi un odio verso questo sport, che poi è passato man mano”.Odio verso lo sport che ami. Quella sensazione quando qualcosa che ti definisce ti tradisce. Quando il ring, che è sempre stato casa tua, improvvisamente diventa prigione. Ma Aziz non è rimasto in quella prigione. Ne è uscito. Si è rialzato.Il suo esordio da professionista, inizialmente previsto per il 26 ottobre a Catania, è slittato. Ma ora, finalmente, è il momento.”Lo stile di Abbes rimarrà sempre uno stile diverso da quello di tutti gli altri pesi massimi e massimi leggeri. Sarà sempre differente: un pugile che è mobile sulle gambe, un pugile che ha un timing pazzesco, un pugile che fa il dentro-fuori”.Il dentro-fuori. Quella danza ipnotica. Quella capacità di essere lì e poi non esserci più. Di colpire e sparire. Di frustrare l’avversario fino a quando non commette l’errore fatale.Aziz porta con sé il peso di Parigi. Ma quel peso, invece di schiacciarlo, lo ha forgiato. Lo ha reso più forte. Più affamato. Più pericoloso.E ora il mondo del pugilato professionistico sta per scoprire cosa succede quando un talento olimpico con un conto in sospeso con il destino decide che è il momento di prendersi tutto quello che gli è stato negato.
Charly: il guerriero silenzioso che ha conquistato tutto
Ma c’è un altro nome che merita attenzione quella sera al PalaBaldinelli. Un nome che nelle Marche è già leggenda, ma che il resto d’Italia deve ancora scoprire appieno: Charlemagne Metonyekpon, originario del Benin ma italiano a tutti gli effetti, soprattutto nel cuore.Chiamatelo Charly. È più semplice. Ed è quello che fa il pubblico del PalaBaldinelli ogni volta che sale sul ring, trasformando la palestra in un tempio che trema sotto il peso delle urla e della passione.Charly ha un record di 15 vittorie ed una sola sconfitta, quella contro Walid Ouizza a Charleville-Mézières in Francia, dove un anno fa, con un verdetto non unanime e alquanto discutibile, veniva penalizzato. Un furto. Uno di quei verdetti che ti lasciano l’amaro in bocca ma che, se sei fatto di una certa pasta, ti rendono più forte.E Charly è fatto di quella pasta.Quattro volte campione italiano dei superleggeri. Pensate a questo. Quattro volte. Ha vinto il titolo e poi lo ha difeso con la tenacia di chi sa che ogni cintura non è un regalo, ma una conquista che va meritata ogni singola volta che sali sul ring.Ha conquistato il titolo Mediterraneo WBC superando per verdetto unanime (100-89 per tutti e tre i giudici) Marco Filippi. Un dominio assoluto. Dieci riprese in cui ha dimostrato che la tecnica, quando sposata alla determinazione, diventa arte.Sul ring di Lanciano si è confermato campione italiano battendo con verdetto unanime lo sfidante Stefano Ramundo. Un successo netto ed inequivocabile, il 12° in altrettanti match, in casa dello sfidante sorretto a gran voce dai propri sostenitori. Vincere in casa dell’avversario. C’è qualcosa di epico in questo. Entrare nella tana del leone e uscirne con la cintura.Quella sera dell’8 novembre, Charly affronterà Jose Rivas per il titolo IBF international. Non è un match qualsiasi. È un’altra tappa verso l’Europa. Verso quel sogno chiamato EBU che ogni pugile italiano sogna di stringere tra le mani.Allenato dai maestri Andrea Gabbanelli e Daniele Marra del Team Boxing Club Castelfidardo, è attualmente considerato da molti osservatori come uno dei pugili della categoria superleggeri più forte d’Europa.E guardandolo combattere, capisci perché. La differenza è la maggiore precisione del pugile di Castelfidardo, andato sempre a segno con efficacia, che ferma sul nascere le azioni offensive dell’avversario al termine di un match entusiasmante per il ritmo, la velocità e l’agonismo.
Precisione. Ritmo. Velocità. Agonismo. Quattro parole che descrivono un fighter completo. Uno di quelli che quando sale sul ring, sai che vedrai qualcosa di speciale.
Il 26 marzo 2022, non era mai accaduto che due pugili professionistici marchigiani tentassero, lo stesso giorno ed in luoghi differenti, di conquistare il titolo nazionale professionistico e men che meno ci riuscissero. Charlemagne Metonyekpon conquistò il titolo italiano battendo ai punti Arblin Kaba al Palabaldinelli di Osimo.Quella sera, le Marche scrissero la storia. E Charly ne fu protagonista assoluto. Ora l’IBF international. Poi, se tutto andrà come deve andare, l’Europa. E poi? Il cielo è l’unico limite per un guerriero che ha imparato a trasformare ogni sconfitta in lezione, ogni vittoria in trampolino, ogni match in opportunità per dimostrare che il talento, quando incontra il lavoro, diventa destino.
The King ritorna: quando l’impossibile diventa possibile
E se pensate che Milano e Osimo abbiano già scritto abbastanza magia per un solo weekend, aspettate. Perché in Estonia, a Narva, sta per accadere qualcosa che sembra uscito da un film di Rocky.Michele Di Rocco torna sul ring alla bellezza di 43 anni e dopo 8 anni senza match ufficiale.Fermatevi. Rileggete quella frase. Quarantatré anni. Otto anni lontano dal ring. “The King” sta per tornare.L’ex campione europeo e sfidante mondiale, di etnia Sinti, lo ha annunciato: “Posso ancora dare qualcosa, sogno l’ultimo show. Mi piacevano Rocky e Bruce Lee, sono anche cintura nera di karate, ma con la boxe portavo qualche soldo a casa”.Portavo qualche soldo a casa. La realtà nuda e cruda di chi viene da dove Michele viene. Di chi ha usato i pugni non per gloria, non per fama, ma per sopravvivere. Per dare da mangiare alla famiglia. Per costruire qualcosa dal niente.
Cinque volte campione nazionale dilettanti, bronzo agli europei del 2002, Michele rappresentò il nostro paese in occasione dei giochi olimpici di Atene 2004 dove raggiunse i quarti di finale. Passato professionista conquistò prima il titolo italiano e poi il silver EBU title dei super leggeri.E poi il momento di gloria. Nel giugno del 2013 a Brindisi diventò campione europeo superando ai punti l’inglese Lenny Daws, titolo che difese in cinque occasioni prima di abbandonarlo per puntare al mondiale.Cinque difese. Cinque volte in cui ha detto: “Non oggi. Oggi non mi prendi la cintura.”Nel maggio del 2016 a Glasgow affrontò lo scozzese Ricky Burns, già campione tra i super piuma e i leggeri, per la versione WBA del titolo venendo però battuto in otto riprese, al termine di una prestazione al di sotto delle aspettative.Il sogno mondiale si infranse a Glasgow. Non per mancanza di talento, ma perché a quel livello non basta essere bravi. Devi essere perfetto. E quella sera, Michele non lo fu.Dopo la sconfitta per KO nel 2017 a Mosca contro Eduard Troyanowskij, annunciò il suo ritiro dall’attività.Otto anni fa. Otto anni in cui il mondo è andato avanti. In cui nuovi campioni sono emersi e altri sono caduti. In cui il pugilato ha continuato a girare senza Michele Di Rocco.Ma il ring chiama sempre i suoi figli. E i veri fighter non possono resistere a quella chiamata.”Sono integro fisicamente e credo di poter dare ancora qualcosa al pugilato. Anche se ho smesso da tempo, ho continuato ad allenarmi seriamente e non dovrò nemmeno strapazzarmi troppo per combattere tra i superwelter. Il primo match sarà un test blando, poi farò un altro combattimento più serio o magari un paio prima di un match europeo o mondiale”. Un match europeo o mondiale. A 43 anni. Dopo otto anni lontano dal ring. Follia? Forse. Coraggio? Sicuramente. Impossibile? Chiedetelo a George Foreman che vinse il titolo mondiale a 45 anni. Chiedetelo a Bernard Hopkins che combatté per titoli mondiali oltre i 50. Chiedetelo a tutti quelli che hanno detto che era troppo tardi, troppo vecchio, troppo passato, e poi hanno dovuto ingoiare le loro parole.Michele Di Rocco, l’8 novembre, affronterà l’estone Andrei Antonov (4-9-2) al limite dei pesi medi a Narva. Non sarà facile. Niente nel pugilato lo è mai. Ma quella sera, nella fredda Estonia, un re italiano dimostrerà che i sogni non hanno data di scadenza. Che puoi cadere, ritirarti, sparire per otto anni, e poi tornare. Non perché devi. Ma perché vuoi. Perché dentro di te c’è ancora quella fame. Quel fuoco che pensavi si fosse spento e invece stava solo covando sotto la cenere, aspettando il momento giusto per esplodere di nuovo.
Il grido che cambia tutto
Quindi no. Non aprite i social. Non cercate spoiler. Non rovinate la magia con la vostra impazienza digitale.Aspettate. Guardate Canale 20 in differita alle 23:30 per vivere Milano. Sintonizzatevi su Repubblica.it, sul canale YouTube della FPI o sul canale 244 del digitale terrestre FightersLife TV per testimoniare Osimo. Date un segno tangibile all’audience che ci siamo, che vogliamo vedere il pugilato in tv, che questo sport merita spazio, attenzione, rispetto.Perché questo sabato non è solo sport. È un referendum. È la risposta a tutti quelli che hanno detto che il pugilato è morto, che non interessa più a nessuno, che i giovani guardano solo gli influencer e i videogame.Ottomila persone hanno riempito l’Allianz Cloud in otto giorni. Ottomila persone hanno detto: “Noi ci siamo.”E quella sera, quando Morello stringerà i guantoni per affrontare Vukshinaj, non sarà solo. Ottomila anime saranno con lui. E centinaia di migliaia davanti ai televisori, ai computer, agli smartphone.Quando Aziz salirà sul ring per il suo esordio da professionista, porterà con sé il peso di Parigi. Ma porterà anche la speranza di un’intera nazione che sa cosa significa essere derubati e vuole vederlo prendersi quello che gli spetta.Quando Michele Di Rocco, a 43 anni, sentirà il suono della campana dopo otto anni di silenzio, ogni pugile che ha mai pensato “forse è troppo tardi” sentirà quella campana anche lui. E capirà che finché il cuore batte e i pugni stringono, non è mai troppo tardi.
Noi siamo il pugilato
La Federazione Pugilistica Italiana ha dato visibilità. Il CONI ha sostenuto. I promoter hanno investito. Ma il risultato finale dipende da noi.Da noi che amiamo questo sport. Da noi che sappiamo cosa significa allenarsi quando tutti dormono. Da noi che abbiamo preso pugni non solo sul ring, ma nella vita, e ci siamo rialzati. Da noi che capiamo che il pugilato non è violenza, è metafora dell’esistenza umana.Ogni volta che sali sul ring, sei solo. Il tuo corner può urlare, il pubblico può tifare, ma quando quella campana suona, sei tu e il tuo avversario. E in quei tre minuti, devi dare tutto. Non puoi nasconderti. Non puoi fingere. O sei un fighter, o non lo sei.
E l’8 novembre 2025, l’Italia dimostrerà che è una nazione di fighter.
Spero che i giovani assopiti dai social comprendano il valore del combattere. Ma noi pugili lo sappiamo bene.
E oggi mi sento di gridare al mondo: IO SONO DARIO MORELLO! IO SONO AZIZ ABBES MOUHIIDINE! IO SONO CHARLEMAGNE METONYEKPON! IO SONO MICHELE DI ROCCO! IO SONO JONATHAN KOGASSO! IO SONO OGNI FIGHTER CHE SALE SU QUEL RING CON UN SOGNO E LA DETERMINAZIONE DI RENDERLO REALTÀ!
IO SONO IL PUGILATO ITALIANO! E IL PUGILATO ITALIANO È VIVO!
Quella sera, quando le luci si spegneranno e sul ring resterà solo il riflettore che illumina due uomini pronti a darsi battaglia, ricordatevi questo momento.Ricordatevi che c’è stato un tempo in cui tutti dicevano che era finita. Che il pugilato era roba del passato. Che ai giovani non interessava più. Che la violenza gratuita dell’MMA aveva preso il sopravvento. Che questo sport elegante, nobile, antico, non aveva più posto nel mondo moderno.E poi arrivò questo sabato. E ottomila persone riempirono l’Allianz Cloud. E centinaia di migliaia si sintonizzarono sulle tv e i dispositivi. E il mondo capì che il pugilato non era morto. Stava solo aspettando il momento giusto per tornare a ruggire.
Il pugilato è morto? Il pugilato non muore mai. Si trasforma. Si evolve. E poi esplode.
E quella sera, esploderà.
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