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Interviste

Roberto Cammarelle: Quell’oro che fece sentire l’Italia invincibile!

Roberto Cammarelle: Quell’oro che fece sentire l’Italia invincibile!
  • PublishedOttobre 20, 2025

1. DA RAGAZZINO DI CINISELLO AL TETTO DEL MONDO: GLI INIZI CHE NESSUNO RACCONTA

Roberto, avevi 11 anni quando ti sei appassionato alla boxe dopo aver assistito a una riunione pugilistica a Cinisello Balsamo. A 14 anni hai iniziato a gareggiare nella palestra Rocky Marciano, scoperto dall’ex pugile Biagio Pierri. Sei nato a Milano da genitori lucani, tuo padre Angelo da Rionero in Vulture, tua madre Giovanna da Scalera di Filiano. Ti eri diplomato in ragioneria, non venivi da una famiglia di pugili. Cosa ti ha fatto entrare in quella palestra la prima volta? C’era un vuoto da riempire, una rabbia da sfogare, o semplicemente la fascinazione per uno sport? E quando Biagio Pierri ti ha visto per la prima volta, cosa ha capito di te che tu stesso non sapevi ancora?

Sono entrato in palestra solamente per fare attività sportiva, per muovermi e per cercare di dimagrire. Un amico di un amico di famiglia era il maestro Biaggio Pierri, quindi su quel consiglio io e mio fratello abbiamo cominciato a frequentare la palestra “Rocky Marciano” di Cinisello Balsamo. Non ero un appassionato di questo sport, non avevo familiari che potessero spingermi, all’inizio ero un completo estraneo. Ma essendoci andato con mio fratello il vero obbiettivo (ma quale dimagrire?!) era sapersi difendere da Antonio (mio fratello) e possibilmente saperlo battere!Sono entrato in palestra nel ’91, quell’anno e per i 3 anni successivi, l’atleta più pagato al mondo era un certo Mike Tyson, quindi va da sé che volevo diventare ricco e famoso come lui; nessuna rabbia da sfogare e nessun riscatto sociale, volevo solo eccellere nello sport che avevo scelto (o forse alla fine lui ha scelto me!).Il grande merito di Biagio é stato quello di vedere in me la grande determinazione a migliorare, la predisposizione al sacrificio e la possibilità di alzare sempre un po’ l’asticella per arrivare ai match super preparato. Poi la più grande intuizione di Biagio è stata quella di farmi cambiare guardia, farmi diventare un pugile mancino. Da lì sono esploso. Mio fratello non era più una minaccia, complice anche la differente crescita: lui era rimasto nei medi io ero passato nei pesi massimi!

2. LO STEREOTIPO DEL PUGILE: MUSCOLI SENZA CERVELLO O INTELLETTO CON I GUANTONI?

Il cliché del pugile è ancora quello del “picchiatore ignorante” che cerca riscatto sociale sul ring. Quanto ti ha ferito questo stereotipo nella tua carriera? Hai mai dovuto dimostrare di essere “anche intelligente” oltre che forte? E cosa diresti a chi ancora oggi pensa che la boxe sia solo “violenza organizzata” e non una disciplina che forma mente e carattere?

Non sono laureato, mi sarebbe piaciuto, ma gli impegni sportivi non me l’hanno permesso. Sono diplomato in ragioneria e per anni ero soprannominato “il ragioniere del ring” proprio per la mia intelligenza tattica, quella grande attenzione a non prendere colpi, tipico di un pugile tecnico più che di un pugile picchiatore.Ancora oggi lo stereotipo del pugile è un eccezione negativa, niente di definito come prima, “rozzo, ignorante, prepotente e manesco”, ma sempre avvolto in un alone di sfiducia, di uno che gode di poco credito. E questa condizione fa male, a me da ancora fastidio. La boxe è spesso cool, alla moda, tanti dicono di farla ma il pugile è un altra cosa! Noi rispetto a tanti altri sportivi, soprattutto i calciatori abbiamo meno possibilità di essere in mostra, di essere intervistati; ed è lì che dobbiamo farci trovare pronti, essere lucidi, rassicuranti e garbati. Ma spesso, penso ai professionisti, l’intervista avviene appena finito il match, a bordo ring, bhè non è facile essere la migliore versione di se stessi eppure noi ci proviamo.Il pugilato è uno sport completo che allena fisico e mente, è una sfida prima con se stessi poi contro un avversario che vuole dimostrare di essere più veloce, più forte e più intelligente di te attraverso l’uso delle mani, con un arbitro che controlla il rispetto delle regole. Non è violenza è agonismo. Capire la differenza non è difficile, volerlo fare è cultura. E’ quella la nostra sfida più grande.

3. PUGILATO E RISCATTO SOCIALE: REALTÀ O MITO ROMANTICO?

Tu stesso hai detto che “il pugilato arricchisce, forma, fa diventare uomo, cementa il corpo e la mente con ore e ore di allenamento. Sul ring non si va solo per dare pugni”. Da Rocky Balboa a Mike Tyson, il pugilato viene raccontato come lo sport del riscatto, della strada che ti salva, del ghetto che diventa trampolino. Tu che vieni da una famiglia normale, da Cinisello Balsamo, non dalle favelas o dal Bronx, come vedi questo “mito”? È vero che il pugilato salva i ragazzi difficili o è una narrazione che romanticizza la povertà? E quanti talenti si perdono perché non hanno una palestra dietro l’angolo o un Biagio Pierri che li scopre?

Io sono nato a Milano, ma i miei genitori sono lucani e probabilmente il sangue del Sud mi ha aiuto. Cinisello Balsamo è la periferia di Milano, non è un ghetto ma neanche il paradiso. Lo sport mi ha aiutato a vivere meglio la realtà di tutti i giorni, ad avere obbiettivi e a realizzare i miei sogni. Tutti gli sport, non solo, il pugilato hanno questo scopo!E’ vero che il pugilato salva ragazzi difficili, ma più perché li orienta verso strade migliori, perché ne incanala le forze, perché aiuta a vivere e a cercare di conquistare i propri sogni, perché ti tiene più lontano dalle cattive abitudini e cattive compagnie ma per i soldi non siamo più in grado di essere una leva sociale: il povero sarà un pugile povero e il benestante sarà un pugile benestante!Tanti ragazzi si perdono perché non ci sono le strutture, penso alla mia Basilicata. Se non fossero emigrati i miei genitori non sarei diventato il campione che sono. Però è anche vero che proprio dal Sud Italia noi riusciamo a “pescare” più talenti, perché non è più una questione di soldi ma di notorietà/visibilità, di avercela fatta come quel vecchio pugile ed essere riconosciuti sui social per quello che si ha vinto, oggi fa la differenza!

4. PECHINO 2008: L’ORO CHE HA FATTO ESPLODERE L’ITALIA

Roberto, il 24 agosto 2008 hai regalato all’Italia l’ultima medaglia d’oro di Pechino. Nella finale contro il gigante cinese Zhang Zhilei, alto oltre 2 metri, dopo aver dominato l’incontro sul 13-4 con ancora 19 secondi da disputare, hai sferrato un colpo da knockout che ha mandato al tappeto l’avversario. Quella notte tutta Italia era davanti alla tv: cosa hai provato in quegli ultimi secondi prima del KO? E come hai vissuto l’esplosione di gioia di una nazione intera che celebrava te come eroe?

Il 24 agosto 2008 a Pechino era pomeriggio, in Italia la gente iniziava a pranzare con me in TV davanti agli occhi. Mancava una ripresa, ero in netto vantaggio, il maestro Damiani che mi dice delle semplici ma esaltanti parole: “Roberto mancano 2 minuti e sei campione olimpico, continua a fare quello che stai facendo!”.Invece qualche secondo dopo Zhang attacca e io eseguo la mia combinazione gancio destro e gancio sinistro lungo, Zhang a terra, boato del pubblico e l’arbitro comincia a contare, l’adrenalina mi sta scoppiando dalle mani e vorrei continuare a colpirlo ma l’arbitro interrompe il match e sono CAMPIONE OLIMPICO!Sentivo l’esultanza dei miei compagni sugli spalti, festa totale a bordo ring con la delegazione del CONI. Ho sognato di vincere le Olimpiadi tante volte e in tanti modi diversi, ma mettere K.O. un colosso cinese in Cina, essere l’ultima gara di quell’edizione con tutti gli occhi addosso, le luci della ribalta finalmente su di me, è stato incredibile ed indescrivibile! Quanto avessi fatto godere gli italiani l’ho scoperto solo al mio ritorno, ogni persona che incontravo mi raccontava dove avesse visto il match e come avesse esultato!

5. IL GIORNO CHE HAI INCONTRATO MUHAMMAD ALI

Nel 2007 hai vinto il mondiale a Chicago davanti al mito vivente Muhammad Ali. Raccontaci quel momento: hai avuto modo di parlarci? Cosa ti ha detto o fatto capire con un gesto? E come si combatte sapendo che il più grande pugile di tutti i tempi ti sta guardando dagli spalti?

Nel 2007 ci sono stati i mondiali in America, Chicago precisamente, e già questo basterebbe per rendere euforici. Il padrino della manifestazione era il più grande pugile, atleta, sportivo di tutti i tempi ed ovviamente anche il mio personale mito: Muhammad Alì!Alla cerimonia di apertura, fatta in un teatro, si affacciò dalla balconata per mandarci il suo saluto, fu da brividi. Non ci si poteva avvicinare a lui in carrozzina, la malattia lo stava già troppo logorando ma gli occhi erano attivi, erano splendenti, trasmetteva quella luce che tutti nella vita vorremmo avere. Saperlo ospite della finale ha fatto sì che m’impegnassi ancora di più ad esserci. E ce l’ho fatta, il 3 novembre 2007 ero il peso supermassimo, quindi il più grande, che lui vedeva vincere, un orgoglio immenso!

6. LA FINALE PIÙ IMPORTANTE: QUELLA DELLA VITA

Hai vinto 3 medaglie olimpiche in 3 edizioni consecutive (bronzo Atene 2004, oro Pechino 2008, argento Londra 2012), 2 mondiali, 3 ori ai Giochi del Mediterraneo. Hai fatto 230 match, ne hai persi 26, dicendo che “la metà posso contestarli!” Quando hai chiuso la tua carriera nel 2016, cosa hai sentito di aver lasciato sul ring? E qual è stata la battaglia più dura che hai dovuto affrontare fuori dal quadrato, nella vita vera, quella che nessuno vede?

La mia carriera è stata straordinaria sotto il profilo delle medaglie, oltre a quelle olimpiche, ne ho tre dei campionati europei, ne ho tre dei giochi del mediterraneo, ne ho quattro dei mondiali e quattro della comunità europea, a cui si aggiungono 9 titoli italiani, un buon record. Le vittorie internazionali iniziano nel 2002 e finiscono nel 2013, ma la vera battaglia l’ho fatta nel 2003, con me stesso.A maggio scopro di avere ancora un ernia del disco che m’impedisce di continuare l’attività sportiva, il chirurgo che mi avrebbe operato mi consigliava di smettere. Ero già entrato nel gruppo sportivo della Polizia di Stato, potevo ritirarmi e fare il poliziotto, magari vicino casa. Furono mesi di riflessioni difficili perché se mi fossi ritirato non avrei mai raggiunto il mio sogno olimpico, sarei rimasto un bravo pugile ma che non ha sfondato. Non potevo permettermelo, non potevo dopo tutti i sacrifici fatti, dopo tutto il percorso fatto.Ad agosto faccio l’operazione, più dura della prima, faccio più fatica a rimettermi in piedi, ci metto più tempo a tornare in palestra ma quando sono in grado di farlo sono già sul ring. A fine novembre con tre incontri sono di nuovo campione italiano. Ho imparato a convivere col dolore e ho vinto!

7. LONDRA 2012: IL FURTO OLIMPICO CHE BRUCIA ANCORA

Il 12 agosto 2012 hai affrontato Anthony Joshua nella finale dei supermassimi. Il punteggio finale di 18-18 ha richiesto la decisione arbitrale, che contro ogni logica ha premiato l’inglese. Avevi vinto i primi due round (6-5 e 7-5), lui il terzo 8-5. Joshua stesso, al momento del verdetto, ti ha guardato con incredulità, quasi scusandosi. Un documentario francese rivelò poi che tutto il pugilato olimpico di Londra 2012 fu vittima di una truffa colossale, con medaglie decise in anticipo. A distanza di anni, riesci a parlare di quella sera senza rabbia? Cosa ti disse Joshua dopo il verdetto? E se quella medaglia d’oro ti fosse stata riconosciuta, avresti cambiato qualcosa nella tua vita?

La finale olimpica di Londra 2012 è col tempo diventata un bel ricordo, perché ho lanciato Joshua e ad ogni sua cintura venivo ricordato come quello che l’ha battuto! Il mondo della boxe, quello pulito mi riconosce come il vincitore e non posso far altro che farmelo bastare! Col tempo e rivedendomi ho visto le sfumature di cosa non è andata nella mia prestazione, che sia ben chiaro reputo ancora vincente.L’atmosfera a Londra fu irreale, capivo che il pubblico era orientato ad un solo verdetto ed è stato accontentato. Anthony Joshua dopo l’incontro all’antidoping ha voluto fare lo scambio di canottiera come simbolo di stima, ma ha cercato di giustificare la sua vittoria, ed era poco convinto anche lui!La medaglia d’oro a Londra mi avrebbe cambiato la vita? No. Mi avrebbe cambiato la carriera? Probabilmente no. Ma sicuramente avrebbe arricchito la mia bacheca e storia personale. Ma tanto nella vita c’è sempre qualcuno che ti batte, soprattutto nel nostro modo italiano di tifare c’è sempre qualcuno che ti critica, quindi bisogna prendere la vita come viene ed essere sereni di quello che si è fatto. Io lo sono.

8. IL PROFESSIONISMO CHE NON FU: OFFERTE MILIONARIE E LA SCELTA DI RESTARE

Dopo Pechino 2008, sei diventato uno dei pugili dilettanti più appetibili al mondo. Hai sconfitto Kubrat Pulev, David Price, Michael Hunter, Tony Yoka, Filip Hrgovic – tutti diventati poi contendenti o campioni mondiali tra i professionisti. Si parlava di offerte importanti da promoter mondiali. Quanto c’è di vero? Ti arrivarono proposte concrete con cifre significative? E perché alla fine hai scelto di rimanere dilettante quando avresti potuto guadagnare milioni? Tu stesso hai detto che “da un punto di vista tecnico non mi piaceva il modo di combattere nel professionismo” e che “non c’era la possibilità di avere un procuratore che ti facesse guadagnare abbastanza”. Ma se le condizioni fossero state diverse, ti sarebbe piaciuto passare pro?

Il professionismo per un pugile è il punto di riferimento, quando ho cominciato a fare pugilato volevo essere Tyson no Savon! Il pugilato Pro deve essere da traino, ma nel periodo del mio apice così non fu. Ho avuto una concreta offerta dalla Germania dopo Pechino, ma erano gli stessi promoter dei fratelli Klitschko e di Povektin, sarei dovuto andare a vivere a Berlino, avrei dovuto lascare il mio gruppo sportivo ed ero in attesa da lì a pochi mesi di avere il mio primo figlio..ah, stavo anche maturando l’idea di smettere finalmente! Quindi non c’erano i presupposti per il mio passaggio ai Pro.Io ho un idea troppo antica del pugilato, per me non sono i soldi a muovere la passione ma la fama sì; passare professionista per fare soldi è un concetto sbagliato, chi passa professionista lo fa per vincere una cintura che sembra impossibile contro pugili campioni. La realtà degli ultimi anni, tranne felici eccezioni, ha visto la nascita di sigle professionistiche che distribuivano cinture a tutti. Il livello tecnico si è abbassato enormemente e fare parte di quel mondo non mi ha più attratto. Al contrario, il mondo olimpico è stato, è e rimarrà linfa vitale per diventare un campione.

9. IL SEGRETO CHE POCHI CONOSCONO: LA SCHIENA CHE TI HA FERMATO

Gli esperti di boxe sanno che avevi problemi cronici alla schiena che ti permettevano di combattere al massimo per 3 riprese, non per le 12 del professionismo. Ti allenavi con cyclette, nuoto e una pallina da tennis per il gioco di gambe, evitando la corsa che comprometteva la tua capacità di camminare. Quanto è pesata questa condizione fisica nelle tue scelte di carriera? E come sei riuscito a diventare campione olimpico e mondiale nonostante questo handicap invisibile?

Gli esperti di boxe? Diciamo che è vero il mio problema ma è anche un falso mito. Preparare 12 riprese nei pesi massimi sarebbe stato più difficile, avrei avuto meno momenti buoni ma non era impossibile da fare, tutta questione di volontà. Ed è quella che ha fatto la differenza, ho convissuto quasi da sempre col dolore eppure non credo di aver mai perso per quel motivo!

10. IL MATCH DEI SOGNI: SE AVESSI AFFRONTATO I KLITSCHKO

Dal 2004 al 2015 i fratelli Vitali e Wladimir Klitschko hanno dominato completamente i pesi massimi professionisti, detenendo tutte le principali cinture mondiali. Tu nel dilettantismo eri il re indiscusso della stessa epoca. Se ci fosse stato un mega-match tra te e uno dei Klitschko, magari Wladimir che come te aveva vinto l’oro olimpico (Atlanta 1996), chi avresti scelto? Pensi che la tua tecnica sopraffina e il tuo devastante sinistro da mancino avrebbero potuto metterli in difficoltà? C’è un nome tra i big del professionismo del tuo periodo con cui avresti sognato di salire sul ring?

Come per Alì, pure coi fratelli Klitschko nel 2008 ho avuto l’onore di vincere un torneo, da loro intitolato e sponsorizzato, davanti ai loro occhi. Li ho conosciuti perché mi hanno premiato. Devo dire che erano entrambi mastodontici, sarebbe stato bello incontrare entrambi. Non so se sarei riuscito a battere uno dei due, sono sicuro che avrei giocato le mie carte, quelle della velocità e della precisione. Credo che più che cercare di far sentire loro il mio sinistro avrei dovuto preoccuparmi di non subire i loro colpi!Erano poco belli da vedere, quasi elementari nel combattere, ma se hanno annientato gli avversari per più di 10 anni un motivo ci sarà. Però il pugile che più di tutti mi sarebbe piaciuto affrontare è sicuramente Lennox Lewis (allego foto), forse meno valorizzato tra i campioni dei pesi massimi!

11. CAMMARELLE DA PRO: CHE PUGILE SARESTI STATO?

Gli esperti dicono che con il tuo record da dilettante e i nomi che hai sconfitto, avresti potuto conquistare un posto in alto nella classifica mondiale. Se fossi riuscito a superare i problemi fisici e fossi passato professionista, che tipo di pugile saresti stato? Avresti cambiato stile? Il tuo sinistro “arma impropria” sarebbe stato ancora più letale con guantoni da 10 once invece che da 12? E soprattutto: hai mai pensato che avresti potuto vendicare quel furto di Londra 2012 contro Joshua, che poi è diventato due volte campione del mondo e ha dominato la divisione per anni?

Se fossi passato Pro sicuramente sarei stato un pugile incontrista ma che pressa il suo avversario, grosso modo come combattevo nell’ultimo periodo della mia carriera, dal 2009 in poi dove ho cambiato stile, muovendomi meno e facendomi sentire di più coi colpi. Da guardia falsa penso che avrei fatto la mia fortuna più col destro che col mio sinistro. Joshua ho cercato di incontrarlo tutto il 2013, ma si è negato. Forse da Pro con in palio qualcosa ci sarei riuscito e memore dell’olimpiadi non avrei puntato a finire ai punti!

12. DA CAMPIONE A TEAM MANAGER: COSA È CAMBIATO NELLA NAZIONALE

Oggi sei team manager della nazionale italiana di pugilato e direttore tecnico delle Fiamme Oro. Tra la vostra generazione – che a Pechino 2008 vinse 3 medaglie su 6 pugili portati – e quella attuale c’è un abisso di risultati. A Parigi 2024 nessuna medaglia, mentre a Tokyo 2020 solo un bronzo con Irma Testa. Cosa è cambiato secondo te? Mancano i campioni, le strutture, la mentalità? E cosa stai facendo per riportare il pugilato italiano ai vertici mondiali?

Prima di tutto chiariamo che non sono più il Team Manager delle Nazionali. Lo sono stato un periodo, ho fatto addirittura un corso di Management, e una tesi, con la scuola dello sport del CONI, associato all’università LUISS di Roma, sull’importanza di tale figura all’interno dello staff della Nazionale. Ma per diversi motivi non ho continuato.La situazione attuale vede le donne in forte crescita e sono sempre la nostra più grande speranza, però si spiega anche per il fattore della meno concorrenza: le nostre sono brave come poche altre al mondo! Per gli uomini c’è più concorrenza, c’è più fisicità ma i migliori sono anche quelli che sanno fare meglio il pugilato. Noi non riusciamo a far crescere fisico e tecnica abbastanza per gareggiare coi migliori, quindi speriamo arrivi un nuovo Cammarelle che non ne abbia bisogno. Nel mio piccolo cerco, attraverso le assunzioni nelle Fiamme Oro, di dare un opportunità alle nuove generazioni e cercare di creargli una strada migliore in questo nostro mondo.

13. SOCIAL MEDIA E BOXE: QUANDO IL KNOCKOUT LO FAI SU INSTAGRAM

Hai parlato dell’importanza della comunicazione e dei nuovi media. La tua era è stata quella della tv, dei 10-20 milioni di spettatori davanti a Rai Sport. Oggi i pugili sono influencer, fanno trash talking su TikTok, si vendono su Instagram prima ancora di salire sul ring. Oggi il talento italiano più grande nel professionismo è Michael Magnesi, che hai definito “Lone Wolf”. Cosa ne pensi di questa nuova boxe “social”? Serve per avvicinare i giovani o svilisce la nobiltà dello sport? E se tu fossi stato campione olimpico nell’era di Instagram, come avresti gestito la tua immagine? Saresti stato il tipo da provocazioni online o avresti lasciato parlare solo i pugni?

I social sono uno strumento straordinario ma devi saperli usare, io non sono mai sato bravo in questo. Mi ricordo che nei giorni di Pechino, per noia, ho aperto il mio profilo personale di Facebook solo per parlare con gli amici in Italia. Ora sono diventati una vetrina incredibile per se stessi e per promuovere la propria immagine. Io per qualche anno li ho affidati a professionisti, ora mi diletto da solo ed infatti scrivo poco!Io credo che i social grosso modo rappresentano chi vogliamo apparire, ma se mettiamo una maschera sui social viviamo male la realtà. Sui trash talk sono contrario a prescindere perché la forza si dimostra non si annuncia, quindi non ha senso farla. Diventa uno strumento divisorio, trovi chi ti amerà e chi ti odierà, invece deve essere uno strumento che unisce i propri fan!

14. IL MESSAGGIO AI RAGAZZI DI OGGI: PERCHÉ SCEGLIERE I GUANTONI INVECE DELLO SMARTPHONE

Sei team manager della nazionale, lavori con i giovani pugili ogni giorno. Hai tre figli maschi, hai detto che “sarebbe bello se succedesse, una dinastia di grandi pugili della famiglia Cammarelle”. Oggi un ragazzino di 14 anni ha mille distrazioni: videogiochi, social, sport più “cool” della boxe. Come convinci un giovane a scegliere uno sport dove ti prendi i pugni, ti alzi all’alba per correre, rinunci alle serate con gli amici per andare in palestra? Qual è il “superpotere” che il pugilato dà e che nessun altro sport o attività può dare? E cosa diresti ai genitori che hanno paura di iscrivere il figlio a boxe perché pensano sia “pericoloso” o “troppo violento”?

Lavoro coi giovani, ho tre figli maschi ma penso che il pugilato sia una scelta, più coraggiosa di altre. I miei figli non fanno boxe e non li costringerò mai ad iniziare. Il pugilato è disciplina, probabilmente ne è più attratto (o viene consigliato) il ragazzi che hanno bisogno di regole.L’ostacolo principale è far entrare i ragazzi in palestra e fargliela provare, convincere i genitori che non saliranno sul ring il primo giorno e che la fase agonistica arriva dopo, per scelta personale. All’inizio deve divertirsi, deve giocare e nel pugilato c’è tanto gioco prima del combattimento. Poi arriva l’agonismo, ma è una scelta che nasce dalla passione trasmessa per questo sport.La parte più importante del lavoro di un maestro è questa: far appassionare gli atleti di quello che fanno, renderli orgogliosi di appartenere ad uno sport storico, nobile e portare avanti la tradizione. Alzarsi presto per andare a correre, rinunciare alla serata con gli amici è una conseguenza del buon lavoro di un tecnico. Per me il pugilato dà, più di altri sport, è la sicurezza: sapersi difendere con le mani ti dà la sicurezza per difenderti con le parole, perché i pugni si danno solo sul ring! Convincere di questo i genitori è facile perché basta vedere il proprio figlio/figlia divertirsi e crescere con questo sport da dover accettarlo.

15. L’EREDITÀ DEL CAMPIONE: COSA VUOI CHE RICORDINO DI TE

Nel 2019 hai ricevuto la Walk of Fame dello sport italiano. Hai scritto: “Ho vinto le olimpiadi, ho vinto i mondiali, non sono passato professionista perché non ne valeva la pena nel mio periodo buono, ma non ho rimpianti e non mi sento incompleto”. Roberto, quando tra 50 anni si parlerà di te, quando i tuoi figli racconteranno ai nipoti chi era Roberto Cammarelle, cosa vuoi che rimanga? Il campione olimpico? Il ragazzo di Cinisello Balsamo che ce l’ha fatta? I valori che hai trasmesso? Qual è l’eredità che vuoi lasciare allo sport italiano e ai giovani che oggi indossano i guantoni sognando di diventare come te?Quando tra 50 anni, e probabilmente non ci sarò più, la gente parlerà di me vorrei che si ricordasse di me per lo stile corretto, educato ma vincente che ho sempre tenuto sul ring. Vorrei che si ricordasse delle mie medaglie vinte che sono difficili da eguagliare e superare. Vorrei che i miei figli parlassero con orgoglio del padre Roberto, che ha permesso loro una gioventù felice, senza privazioni ma con regole, perché questo è quello che devi pretendere dalla vita!

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Redazione

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