Paolo Bologna – “The Gladiator”

Un padre, un figlio, una città. Paolo “The Gladiator” Bologna racconta cosa significa lottare per i sogni, portare Firenze sul ring e togliersi l’armatura davanti all’amore più grande: suo figlio.
Dal sabbione di Santa Croce al ring, dal Calcio Storico al titolo italiano superwelter. Paolo “The Gladiator” Bologna racconta valori, battaglie, sogni e paternità. Una vita da guerriero, dentro e fuori dal quadrato:
Dal “sabbione” del Calcio Storico agli Azzurri di Santa Croce fino al ring: quali valori ti porti dietro da quel contesto e come hanno modellato il tuo stile di combattimento?
I valori sono sempre quelli: si combatte per la gloria, per se stessi, ma anche nel rispetto dell’avversario che fa la tua stessa vita. Dal Calcio Storico porto dentro il coraggio di affrontare tutto a viso aperto, senza paura, e quella scarica di adrenalina che ti spinge sempre a sfidare i più forti.
Notte di Ferrara, 6 dicembre 2024: al Palapalestre strappi la cintura italiana superwelter a Federico Schininà con verdetto unanime (97–93 per tutti e tre i giudici). Qual è stato il piano tattico decisivo e quanto ha contato vincere “in casa dell’avversario”?
È stata una notte incredibile. Il titolo italiano era il mio sogno e lo sentivo sempre più vicino nei giorni precedenti. Sapevo che Schininà fosse più tecnico di me e con grande esperienza da dilettante, ma ero convinto: “Può esserci anche il diavolo, io torno a casa con la cintura”. Non potevo accettare un altro finale. Vincere in casa sua ha reso tutto ancora più speciale.
Dopo il titolo hai detto: “Dedico il titolo a mio figlio e a Firenze”. In che modo diventare papà ha cambiato motivazioni, routine e gestione dei sacrifici?
Diventare padre ti cambia la vita. Non pensi più solo a te stesso, ma a lui. Ogni scelta, ogni variazione della mia routine è fatta per garantire che mio figlio stia bene. È un impegno che affronto con gioia, perché tutto ciò che faccio oggi lo dedico a lui.
Sei un gladiatore, un guerriero: nel Calcio Storico come nel pugilato indossi una vera e propria armatura, sempre pronto a dare battaglia. Ma quando torni a casa e ti ritrovi con tuo figlio, quell’armatura la togli. È in quei momenti che emerge il vero Paolo Bologna?
È vero, sul ring e nel Calcio Storico indosso un’armatura da guerriero, pronta per la battaglia. Ma quando torno a casa e prendo mio figlio in braccio, quell’armatura cade. Lo bacio, lo stringo, lo guardo negli occhi e capisco che tutto l’odio e la rabbia accumulati non contano più. L’amore che provo per lui è qualcosa che non avevo mai conosciuto prima: è lì che emerge il vero Paolo.
La difesa contro Damiano Falcinelli è finita in parità dopo dieci riprese tiratissime. Cosa hai imparato da quel match e su cosa stai lavorando per il prossimo step?
Quel match mi ha insegnato che la guerra va fatta, ma con intelligenza. Ho capito che non basta resistere e incassare: certe battaglie d’orgoglio si possono gestire meglio. Non cambierò il mio stile, che è sempre quello di affrontare chiunque, ma posso limare alcune situazioni per essere più lucido e strategico.
Da Graich a Falcinelli fino a Esposito, la tua carriera da campione si è costruita sempre nella battaglia, senza compromessi. Guardando avanti, quale sarà il prossimo obiettivo che ti sei posto sul ring?
Da professionista vero non puoi più scegliere: se sei arrivato in cima, devi affrontare solo i migliori. Puoi scappare una volta, ma poi devi smettere di fare il pugile. Io invece sono pronto a ogni battaglia, chiunque ci sia dall’altra parte.
Firenze ti ha festeggiato in Consiglio comunale: cosa ha significato per te quel riconoscimento istituzionale e che responsabilità senti verso la città?
Ricevere quel premio nel Salone dei Cinquecento, accanto al sindaco e all’assessore allo sport, è stato un orgoglio enorme. Ho pensato: “Ero uno scappato di casa e ora sono qui, premiato dalla mia città”. È stata un’emozione incredibile che mi ha fatto sentire parte viva di Firenze.
Ti chiamano “The Gladiator”: dalle 60 gare da dilettante al passaggio al professionismo nel 2020, qual è la lezione tecnica e mentale più preziosa che ti porti dietro?
L’esperienza da dilettante mi ha insegnato tanto, ma soprattutto porto con me la voglia di vincere, di fare bene e di non deludere chi mi sostiene. Ogni step, ogni match, è un tassello in più che mi ha formato mentalmente e tecnicamente.
TAF e i grandi eventi stanno riportando attenzione sulla boxe italiana: cosa ti dà combattere in quel contesto in termini di visibilità, preparazione e pressione mediatica?
Combattere con TAF è un’emozione unica. Per fortuna, grazie al Calcio Storico, ero già abituato a gestire la pressione del pubblico. Certo, combattere in un palazzetto con mille persone o all’Allianz Cloud con migliaia di spettatori è diverso, ma quella pressione l’ho sempre saputa domare.
Oggi come concili l’identità di calciante con quella di campione italiano di boxe? C’è ancora spazio, anche simbolico, per gli Azzurri di Santa Croce nel tuo percorso pugilistico?
Non lascerò mai né il pugilato né il Calcio Storico. Sono due amori indescrivibili, come chiedere se vuoi più bene a tuo padre o a tua madre. Entrambi fanno parte di me e ci sarà sempre spazio per tutte e due.