Non è la sigla che fa il match!

Non è la cintura a fare il campione, ma il match e i suoi protagonisti a dare valore alla cintura
Negli ultimi tempi ho letto e sentito tante critiche sul mondiale UBO di Giovanni Sarchioto. E mi sono fermato a riflettere. Perché in Italia, il “paese dei balocchi”, sembra sempre che il gioco preferito sia puntare il dito, denigrare, sminuire. A volte per invidia, altre semplicemente perché è costume, quasi uno sport nazionale.
Eppure la storia della boxe ci insegna una verità fondamentale: non è la sigla a fare grande un incontro, ma sono gli uomini sul ring a renderlo leggendario.
Pensiamoci un attimo. Nel panorama pugilistico mondiale, i match spettacolari non mancano, e spesso hanno avuto la fortuna di essere accompagnati da sigle prestigiose, cinture storiche, federazioni blasonate. Ma la domanda è: davvero quelle sigle erano necessarie a rendere memorabile lo spettacolo?
Prendiamo un esempio recente e lampante: Canelo vs Bivol. Un match che ha fatto tremare il mondo della boxe, incontri che rimarranno scolpiti nella memoria di milioni di appassionati. Ma in quel match, epico e discusso, non aveva neppure una cintura in palio. Eppure, chi può dire che non sia stato un incontro emozionante?
E se guardiamo indietro, la storia ci regala perle dimenticate. Roberto Durán, leggenda assoluta del pugilato, ha combattuto e vinto titoli mondiali sotto sigle considerate “minori”, come l’IBC. Lo stesso Vinny Pazienza si è incrociato con Durán proprio per una cintura IBC, e più tardi il panamense affrontò persino Héctor “Macho” Camacho sempre per lo stesso titolo. All’epoca, nessuno di quei nomi aveva bisogno di una sigla blasonata per essere ricordato: erano i match, le battaglie, il sangue e il sudore a scrivere la storia.
E quanti sanno che Emiliano Marsili è stato campione del mondo per la sigla IBO? Oggi la IBO è entrata nel linguaggio comune degli appassionati, ma un tempo era guardata con sospetto, quasi come “bandita”. Esattamente come accadde anni fa a federazioni oggi riconosciute e rispettate, come l’IBF o la WBO. Quelle stesse sigle, una volta messe in discussione, oggi sono considerate imprescindibili. Il tempo, come sempre, ha dato le risposte.
La verità è semplice: i titoli passano, le sigle cambiano, ma i match restano. Restano i colpi, restano le emozioni, restano le storie scritte da uomini che hanno avuto il coraggio di salire sul ring e sfidare tutto e tutti.
E allora, oggi, gettare fango sulla UBO è un esercizio sterile. Certo, è una cintura minoritaria, nessuno lo nega. Ma ridurre tutto a una sigla significa non capire l’essenza del pugilato. Perché il valore del mondiale UBO di Giovanni Sarchioto non sarà deciso dalle lettere incise su una cintura, ma da chi salirà sul ring contro di lui, da come affronterà la sfida, da quanto cuore metterà in quella battaglia.
Perché, in fondo, la boxe è e sarà sempre questo: due uomini, un ring e una sfida. Il resto sono solo etichette.
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