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L'Angolo di Rocky

Michele Piccirillo, il gentleman del ring

Michele Piccirillo, il gentleman del ring
  • PublishedAgosto 13, 2025

Intervista a Michele Piccirillo, il gentleman del ring. Una carriera di vertice come pochi altri campioni. Sul ring a 14 anni, pro dal 1992 con Gresta. Europeo welter nel 1997, iridato WBU con sette difese dal 1998 al 2000

Lo hanno chiamato il “Gentleman del ring” e mai questa definizione è stata più appropriata riferendosi a Michele Piccirillo. Un gentiluomo dentro e fuori dalle corde, un campione di talento, che ha percorso un lunghissimo itinerario di ring, iniziato giovanissimo e concluso dopo oltre 22 anni di attività. In ogni circostanza ha fatto della signorilità il suo biglietto da visita.  Michele nasce a Bari, il 29 gennaio 1970. Papà Scipione insegna boxe e il figlio entra in palestra a 4 anni, come ricorda l’interessato: “Chiaramente per gioco e soprattutto perché ero in carne, ovvero cicciottello. Non certo per avviarmi alla boxe. Prima di scegliere il pugilato ho praticato a livello giovanile altre discipline. Per primo il judo, poi il karate, la velocità in atletica e infine il nuoto. Tutti passaggi necessari per completare una formazione sia atletica che agonistica. Quando tornai in palestra avevo già le idee chiare. Mio padre mi svezzò, nella prima fase, il resto l’ho completato leggendo libri di tecnica e guardando in tivù la boxe. Negli allenamenti ero indipendente, e quando venni chiamato in nazionale il responsabile Franco Falcinelli recepì subito che avevo qualità. Inoltre leggevo tutto quello che riguardava la boxe. Abitudine proseguita anche da professionista. Ho sempre cercato di conoscere il più possibile dei mei avversari”.Il debutto sul ring, ovvero il primo combattimento? “Ai campionati pugliesi novizi a Trani nel 1984 a 14 anni. Torneo che vinsi e lo stesso avvenne a quello nazionale. A novembre dello stesso anno mi chiamarono in Nazionale. Il primo torneo nelle categorie giovanili lo disputai in Francia a inizio 1986, quindi in Jugoslavia e in Italia, salendo sempre sul podio, con un oro e due argenti. L’anno dopo a 17 anni, vinsi in Polonia, Ungheria e Grecia, argento in Italia. Titolare ai mondiali juniores all’Havana a Cuba, nei 57 kg. superato all’esordio dal coreano Lee Park (3-2) verdetto fischiatissimo dal pubblico. Ho vinto cinque volte il Torneo Italia, con presenze di livello mondiale”.
Tra i vari allenatori in nazionale, chi ti ha fatto crescere in particolare? 
“Inverità, salvo poche eccezioni, il rapporto tecnico è stato continuo con Falcinelli che aveva notato in me qualcosa in più rispetto agli altri. Infatti, come ho già detto, mi portò a disputare tornei giovanili in Europa, dove ottenni parecchi successi, fino ai mondiali di categoria. Falcinelli era un allenatore preparato, molto avanti rispetto ai colleghi. Nell’URSS e in Polonia e mi sembra anche a Cuba, per acquisire  le tematiche all’avanguardia. In rapporto agli altri tecnici era dieci passi più avanti”. Agli europei jr. 1988 a Danzica in Polonia, la sconfitta in finale contro il mancino russo Shaburov, ti costò la presenza ai Giochi di Seul? Ricordo che ci furono polemiche per quell’esclusione. Falcinelli mi disse che eri il miglior talento tra i giovani, ma a 18 anni, eri molto giovane, e non voleva bruciarti. Riteneva che saresti stato protagonista nel 1992. In effetti a Barcellona eri titolare, ma non andò bene. Sconfitto dal finlandese Kjall, che avevi battuto in precedenza due volte. Ci puoi dare la tua versione sia per Seul che a Barcellona, dove la squadra deluse in toto. “Partiamo dalla mancata partecipazione ai Giochi di Seul. Falcinelli mi aveva assicurato che sarei andato alle Olimpiadi come leggero. Purtroppo ebbi il guaio alla mano destra che mi tormentava da tempo e questa situazione mi mise fuori gioco. I miei 18 anni, c’entrano relativamente, anche se valutando il tutto, lo staff tecnico con Falcinelli che decideva, aveva in mente di far scendere Campanella e Parisi nelle categorie inferiori alle loro e per quel motivo, presero la palla al balzo per non portarmi.  Personalmente sono sicuro che avrei potuto fare una buona prestazione perché uscivo da 2 anni di tornei vinti nelle categorie giovanili. Per quanto riguarda Barcellona come hai già detto, avevo battuto già volte il finlandese, l’ultima pochi mesi prima dei Giochi, a San Pellegrino Terme nella preolimpica. Non solo, nel 1989 a 19 anni, debuttai agli europei di Atene, dove venni fermato subito, sia pure di misura dal polacco Czermi, che giunse in finale e meritava il titolo, battuto 3-2 dai giudici e non dal russo Ruznikov. Due anni dopo nel 1991 in Germania a Goteborg raggiunsi il bronzo. Purtroppo a Barcellona il destino aveva deciso che doveva andare tutto storto. All’arrivo in Spagna, mi presi una gastroenterite acuta che durò qualche giorno e salii sul ring vuoto, senza forze. Una vera disdetta. Non voglio essere presuntuoso, ma al meglio potevo puntare al podio. Dicono che la sfortuna è cieca, ma nei miei confronti ci vide molto bene per farmi un dispetto e non fu l’unica volta”.  Nel tuo record da dilettante, figura una vittoria su Shaney Mosley, a Napoli nel 1991. Ovvero uno che da pro avrebbe vinto il mondiale, grande protagonista con vittorie su De La Hoya (due volte), Collazo e Mayorga. Contro Vernon Forrest, hai trovato sempre disco rosso, sia da dilettante, ai mondiali a Sydney 1991 che da pro, per il mondiale WBC nel 2007. Cosa ricordi di quelle sfide?
“Parliamo di due grandi atleti. Vernon Forrest è stato non solo uno dei miglior pugili che ho incontrato, ma anche a livello assoluto tra i welter e superwelter. Aveva un fisico da medio e boxava molto bene. I suoi colpi lunghi erano precisi e potenti. Infatti sia da dilettante che da pro ha vinto molto. Mosley, che ho incontrato solo da dilettante, non è stato un problema difficile. Era più basso e quindi riuscivo a tenerlo a distanza, anticipandolo con diretti precisi. A Napoli vinsi nettamente.  Ai mondiali di Sydney sempre nel 1991, da superleggero trovai subito Forrest e seppi contrastarlo bene. Persi ai punti, mentre lui arrivò in finale, superato dal russo, Kostantin Tszyu, di origine coreana, un vero fenomeno, funambolico e mobilissimo, vanamente inseguito da Forrest. 

Dopo la sfortunata partecipazione ai Giochi a Barcellona, decidi di passare pro. A chi ti affidi? 

“Scelgo Siverio Gresta o meglio fu lui a contattarmi molto tempo prima del mio passaggio. Abitava a Senigallia, aveva guidato Gianfranco Rosi e altri campioni, Più avanti ebbe nella sua colonia anche Giovanni Parisi. Restai con lui dal ’92 al ’96. L’imprenditore perugino Alvaro Chiabolotti, si offrì come sponsor, rivelandosi anche un caro amico. Personaggio di grande simpatia, con una storia emblematica. Emigrato giovanissimo in Francia come muratore, in pochi anni creò una sua impresa costruendo palazzi in prevalenza sulla Costa Azzurra. Proprio in Francia, dopo aver fatto parte nei direttivi di alcune squadre di calcio, si appassionò al pugilato. Nei primi anni ’80 torna nella sua Perugia, prosegue nel lavoro di imprenditore edile e crea la colonia a suo nome, con Silverio Gresta manager e Giovanni Bocciolini insegnante. Il 18 dicembre 1992 a Ponte S. Giovanni, nel perugino, debutto al professionismo mettendo Ko al sesto round Valerij Monahov, un ucraino di stanza a Budapest. L’anno dopo disputo otto incontri, l’ultimo ad Almaty che era ancora la capitale del Kazakistan. Accetto l’offerta per la curiosità di vedere quella nazione, pur sapendo di affrontare un avversario imbattuto e sconosciuto”.
Come fu quella trasferta?
“Se debbo dirla tutta, abbastanza deludente. Intanto pensavo che Silverio mi accompagnasse, cosa che non avvenne. Partii col maestro Bocciolini, e dovetti sbrigarmela da solo sulle questioni inerenti la parte organizzativa, dalla borsa alla permanenza. Nei giorni precedenti il match, mi sono allenato nella stanza. Il peso per fortuna si svolse dove ero alloggiato. L’avversario si chiamava Vadim Prisyazhnyuk, match sulle otto riprese. Era imbattuto con dieci successi, aveva combattuto in Indonesia e in Russia sempre vincendo. Più basso di statura, al suono del gong, si lanciò subito all’attacco, facendo il mio gioco. Lo anticipai con diretti e, dopo averne ricevuti alcuni piuttosto pesanti, pur proseguendo ad avanzare, ripresa dopo ripresa, rallentava l’offensiva e nelle ultime rischiò di perdere prima del limite. Verdetto unanime a mio favore. Il giorno dopo, ricevuta la borsa pattuita in dollari, tornammo in Italia, soddisfatti. Proseguii l’attività con Gresta fino al 1995. L’anno prima avevo conquistato la cintura Intercontinentale IBF superleggeri, difesa un paio di volte. Nel frattempo, con Silverio seriamente malato, cambio scuderia e scelgo Roberto Sabbatini e Giulio Spagnoli. Con loro divento campione italiano superleggeri il 21 luglio 1995 a Latina, battendo Franco Palmieri, napoletano di Caivano, residente a Rimini che aveva combattuto e vinto in Francia e a Las Vegas. Quando lo affrontai era imbattuto, con nove successi e un pari all’esordio nel 1993. Lo misi KO al terzo round. Dopo la vittoria ai punti in Kazakistan a fine ’94, metto assieme otto KO a fila, difendendo anche la cintura IBF. La serie si interrompe il 26 aprile 1996 ad Aalborg nel Nord della Danimarca, dove combatto per il vacante europeo. Organizza Mogen Palle, tutto sorrisi e strette di mani, in un ambiente dove capisci al volo che se non metti KO il pugile locale, torni a casa con la borsa e basta. Secondo i giudici Soren Sondergaard (25-1) fece una passeggiata. Torno in Italia e mi consolo parzialmente riprendendomi la cintura tricolore superleggeri a spese di Francesco Cioffi dopo dodici round a senso unico il 24 agosto 1996. A quel punto decido di salire nei welter.” 

Categoria dove, in quel periodo, era protagonista Alessandro Duran figlio e fratello d’arte. Papà Carlo, argentino di Cordoba, trasferitosi nel 1960 in Italia a Ferrara, che risulterà l’approdo definitivo. Diventa italiano, si sposa con la ferrarese Augusta, una splendida ragazza, svolge attività frenetica, vince il titolo italiano e l’europeo, affronta tutto il meglio d’Europa e non solo. Nel novembre del 1963 nasce Massimiliano, il 5 febbraio 1965 è la volta di Alessandro. Entrambi seguono la strada di papà. Alex diventa pro a 18 anni negli USA, una sfida nei confronti della FPI, che lo punisce squalificandolo 18 mesi. Torna sul ring nell’ottobre 1985 e inizia un percorso che lo porta in poche stagioni nei quartieri alti. Campione italiano nel maggio 1993, restituendo a Santo Serio, la stessa moneta, il KO, che sei mesi prima il pugile palermitano gli aveva inflitto nella precedente sfida. Nel 1994, fallisce il doppio tentativo (mondiale WBO ed europeo) in Irlanda e in Scozia contro Loughran e Jacobs. Torna a casa, difende la cintura tricolore welter, e nel 1996 sul ring di Sanremo conquista la cintura WBU, che sta acquisendo consistenza in particolare nel Regno Unito, ma che la FPI ignora. A lasciarlo nelle mani di Alessandro il 26 ottobre 1996, è il sudafricano Gary Murray, residente in Scozia, battuto per squalifica al quinto tempo sul ring di Sanremo. Il verdetto non piace all’ospite che ottiene la rivincita, allestita quattro mesi dopo a Ferrara, sfida vinta con verdetto unanime dall’italiano. Sabbatini e Spagnoli organizzano la seconda difesa il 30 luglio ’97 al sole di Palma di Montechiari in Sicilia. L’avversario è ancora un sudafricano, Peter Malinga, un fighter di colore, che nel terzo round, trova il destro giusto e Duran finisce KO. Lungi dalla resa, ottiene la rivincita, ancora a Ferrara il 17 novembre successivo. Una battaglia serrata, che alla fine dei 12 round, sia pure con verdetto a maggioranza premia il nostro pugile riprendendosi la cintura WBU welter. Nel contempo – chiedo a Michele – dopo quattro stagioni (’92-‘96) nei superleggeri, sali di categoria avviando un percorso in continua progressione.                                                                                                      

“Lo dicono i risultati. Vinco sei match, quattro prima del limite. Il 13 settembre ’97 a Brindisi spedisco KO il romeno Claudiu Rata alla quarta tornata, conquistando l’Intercontinentale WBU. Due mesi dopo il 29 novembre, arriva la seconda occasione europea. Sabbatini e Spagnoli, portano la sfida in Italia, precisamente a Novara. Avversario è Geoff McCresh, un pelo rosso inglese dai modi poco urbani. Strilla che ho il destino segnato. Salgo sul ring deciso a dargli una lezione, visto che ignora le buone maniere. Inizialmente attacca in modo selvaggio, segnando il suo destino. Alla nona ripresa lo metto giù con un destro chirurgico”. 

Come arrivi al confronto con Duran?

“Dopo anni di silenzio della nostra televisione, la RAI rispunta a trasmette ad orari decorosi e non in piena notte. Alex e il sottoscritto sono i nomi che tengono desta l’attenzione. Io sono campione d’Europa, lui titolare WBU, siamo nella stessa scuderia. Per la Sabbatini-Spagnoli è facile allestire il confronto”.

Vinci entrambe le volte, la prima a Catania a maggio nel 1998 conquistando il titolo WBU.  Che due mesi dopo, difendi contro l’argentino Saporiti a Marina di Ragusa in Sicilia, presentatosi al peso con la sicurezza di scalzarti dal recente trono. Sul ring finisce KO al settimo round. La seconda sfida contro Duran a Bari, davanti al pubblico di casa nell’ottobre dello stesso anno. Cosa ricordi di quei due confronti?

“Prima di tutto la presenza del pubblico in entrambe le occasioni, un successo che non si verificava da anni. Oltre alle autorità più importanti dal sindaco agli assessori delle due città e non solo. A bordo ring, personaggi dello spettacolo e della cultura. Vennero a salutarmi e congratularsi tra gli altri Luca di Montezemolo, Candido Cannavò il direttore della Gazzetta dello Sport, Alberto Tomba e Giuliano Gemma, la presentatrice Alessandra Canale, l’onorevole Vittorio Sgarbi e il presidente del CONI, Mario Pescante. Ricordo pure che la RAI raggiunse punte di ascolti da primato”. 

Come andarono i due confronti?    

“Visti i risultati, direi benissimo. A Catania vinsi per KO al quinto round e a Bari mantenni la cintura ai punti abbastanza nettamente. Nel primo incontro feci contare Duran al terzo round e conclusi la sfida nel quinto, dopo un secondo kd e quello successivo definitivo. Non ebbi molti problemi, anche se nella seconda ripresa Duran mi prese con un bel destro, ma senza conseguenze. Dopo quel colpo, non ci fu storia. La seconda sfida andò ai punti e i giudici furono unanimi a vedermi vincitore.  Ci furono commenti sul punteggio, ma ricordo che feci contare Alessandro al terzo round e lo misi in crisi nel penultimo round. Pensai che l’arbitro fermasse il match. Debbo dare atto a Duran di grande resistenza e generosità, oltre a consumato mestiere. Ogni volta che lo colpivo duro sapeva reagire e trovava energie. Ma per lui era sempre una sfida in salita, mentre io ero avanti. Nell’intervista del dopo match, Benvenuti e Mazzinghi che commentavano l’incontro mi confermarono che avevo vinto nettamente. Il resto non mi interessa”. 

Per la parità di opinioni, ho chiesto ad Alessandro Duran, un giudizio in merito alla due sfide. Questa la sua risposta.

“Nel primo match commisi un grave peccato di presunzione.  Nel secondo round avevo colpito duro Michele e ritenevo che avrei addirittura concluso la sfida in quello successivo. Ignorando il consiglio di mio fratello Momo, che mi invitava alla prudenza. Mi gettai all’assalto e pagai duramente la mia dabbenaggine. In quell’occasione capii che buttarsi allo sbaraglio con un grande pugile come Michele era un errore imperdonabile. Infatti nell’incontro successivo cambiai tattica, mi mossi sul tronco evitando le sue azioni offensive. E’ vero che mi fece contare nel terzo round, ma non ebbi problemi a riprendermi e impegnarlo parecchio. Nel penultimo round mi colpì preciso e andai per un momento in crisi, ma trovai la forza per recuperare e disputare l’ultimo round all’attacco. Non dico di aver vinto, ma i cinque punti dei giudici per Piccirillo li ritenni esagerati e anche la stampa confermò la mia opinione. Con tutto questo, ritengo Piccirillo un grande talento, addirittura sottovalutato dalla stampa. Michele aveva tutte le caratteristiche del campione, colpiva duro e preciso, buon incassatore, dotato di ottima tecnica. Un signor pugile, completo”.

Giuliano Orlando (Fine della prima parte)

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Redazione

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