Michele Piccirillo e il debutto in Usa

Piccirillo lascia il WBU e debutta negli USA. La doppia sfida con Corey Spinks. Europeo superwelter. Mayorga e Forrest sconfitte onorevoli. L’addio a 38 anni. Snobbato dalla FPI
Dopo ben sette difese della cintura WBU welter, dal 1998 al 2000, chiudi i rapporti con Roberto Sabbatini e Giulio Spagnoli e inizi un nuovo percorso professionale indipendente.
“La decisione era nata per l’assenza della federazione nel programmare con la RAI le date delle mie difese. Stufo di questo atteggiamento, vado a New York nel 2000 e firmo un accordo con Don King per due incontri negli USA. Lui li organizza e mi assicura una buona borsa, senza che io debba versare percentuali. Così avviene. Il 5 marzo 2001 sul ring del nuovo Madison di New York il mio debutto americano. Decisamente sfortunato. Affronto il portoricano Elio Ortiz sui 12 round, match valido quale eliminatoria per sfidare il campione IBF, in quel periodo Vernon Forrest. Ortiz avanza con la testa in avanti come un ariete, ma l’arbitro lascia correre. Vinco le prime tre riprese, tenendolo a distanza. Alla quarta in un corpo a corpo, Ortiz mi assesta una testata, spaccandomi il sopracciglio destro. Ci vollero venti punti per ricucirlo. Verdetto di non contest! Ero infuriato per la decisione dell’arbitro, ma Don King, mi assicurò una nuova opportunità e così avvenne”.
Sempre al Madison, il 29 settembre, disputi il sottoclou del mondiale medi tra Bernard Hopkins e l’imbattuto Felix Trinidad. Match vinto dal trentaseienne di Filadelfia, che interrompeva le vittorie del più giovane portoricano, giunto a quota 40, sconvolgendo pronostici e record. Uguagliando e poi migliorando, il primato di Carlos Monzon, con 14 difese vincenti che deteneva dal 1987. Nell’occasione Hopkins entra in possesso delle cinture WBC, WBA e IBF. Nel 2005 arriva alle 20 difese iridate, primato assoluto. Don King fu dunque di parola, organizzando la sfida contro Rafael Pineda, il quotato colombiano che figurava ai primi posti del ranking IBF.
“Ricordo che venni accolto con tanti applausi sia dai locali e in particolare dagli italo americani che fecero un tifo rumoroso per tutto il match. Il colombiano Pineda era stato campione del mondo superleggeri nel 1991. Era esperto e molto furbo. Più basso di me, combatteva molto raccolto per scattare e colpire rapidamente. Era abilissimo e possedeva potenza incredibile. Nella seconda ripresa, mi sorprese con l’uno-due facendomi scivolare al tappeto. L’arbitro mi contò anche se mi ero rialzato prontamente. Gli restituii il favore al quinto tempo e nella foga mi scappò un altro pugno mentre era al tappeto. Dopo il conteggio l’arbitro mi richiamò ufficialmente. Il match arrivò al dodicesimo round e la mia vittoria con verdetto unanime. Posso ritenerlo uno degli incontri più difficili in assoluto. La stampa americana elogiò la mia prova, mentre quella italiana era assente o quasi. Per non parlare della RAI, coerente nell’ignorare un pugile italiano che si guadagna il ruolo di sfidante ufficiale al mondiale dei welter IBF”. Nel frattempo Vernon Forrest, il 26 gennaio 2002 conquista il WBC spodestando Shane Mosley, lasciando il titolo IBF vacante, non avendolo difeso nei tempi richiesti dalla sigla. Piccirillo è il primo sfidante di diritto e a lui si affianca Cory Spinks, titolare USBA. Premetto che Franco Falcinelli col segretario Roberto Rea, appena eletti nel 2001, vennero a trovarmi a Milano, proponendomi la direzione di Boxe Ring. Accettai chiarendo subito di non voler ostacoli di sorta nella conduzione della pubblicazione. Presi la rivista ai minimi storici sotto le 500 copie e la portai a 2500 nel primo anno di direzione. Nell’aprile del 2003 me ne andai sbattendo la porta, stufo delle interferenze del rappresentante federale, elemento di incapacità pari all’ambizione pelosa di svolgere un ruolo del quale non è mai stato all’altezza. Purtroppo molta della colpa fu di Falcinelli, che riteneva costui un suo alleato. Il tempo avrebbe chiarito che covava una serpe in seno. Prima del confronto disputato a Campione il 13 aprile 2002, allestito da Salvatore Cherchi che aveva assunto la procura di Michele col beneplacito di Don King, chiesi al collega Fausto Narducci della Gazzetta dello Sport, di intervistare il pugile di Modugno. Vado a rispolverare quel servizio pubblicato su Boxe Ring, la gloriosa testata che a fine 2022, il Consiglio Federale su richiesta del presidente, con una brillantissima e lungimirante decisione ha deciso di seppellire, ritenendolo un reperto inutile. Torno al 2002 e trovo l’intervista di Narducci, dove Piccirillo non ha peli sulla lingua. Riporto alcuni passaggi emblematici. “Allora Michele, si ricomincia dalle origini? La prima sigla che mi ha dato fiducia. Poi è arrivata la WBU. Pentito di aver seguito la parabola discendente? Per nulla, ho sempre detto che è il campione che fa la sigla e non faccio differenza tra il mondiale con Spinks e quelli disputati in giro per l’Italia. La scelta di allontanarti dall’Italia? Affiliarsi alla federazione USA è stata una decisione necessaria, grazie alla quale sono arrivato al mondiale IBF. Ho seguito un percorso logico. Sono andato via perché era impossibile lavorare: date che saltavano in continuazione, borse ridicole, promesse non mantenute, televisioni indifferenti. La scelta era ritirarsi o andare via. Nel 2001, l’anno che ho combattuto in America con Don King, ho trovato alta professionalità, date fissate con largo anticipo, borse puntuali e avversari all’altezza. L’intervista è molto lunga e interessante e invito i lettori a leggerla sul numero di Aprile 2002. Come il mio resoconto da Campione, sempre su Boxe Ring, che fa capire l’importanza e la difficoltà di una vittoria contro un avversario che univa talento e colpi sporchi. Interessante pure l’intervista a firma di Riccardo Crivelli, alla vigilia della rivincita col mancino americano avvenuta nel marzo 2023. Rispolverare quel periodo è anche e soprattutto, riscoprire quanto fosse importante poter contare su una pubblicazione che riporta la storia della noble art.
Chiedo: quella storica vittoria nel 2002 a Campione d’Italia, contro Corey Spinks per il mondiale IBF welter, unico italiano a cingere la prestigiosa cintura a tutt’oggi, la consideri la più importante della carriera?
“Anche sequello contro Corey Spinks e’ stato un incontro prestigioso, avendo battuto un avversario molto bravo che abusava nelle scorrettezze, ignorate dall’arbitro, purtroppo molto complesso, non lo considero il più importante. Venne scritto che ero stato messo in difficoltà nella terza e settima ripresa, ignorando che entrambi i colpi mi avevano colpito dietro l’orecchio, come venne confermato rivedendo il replay. Comunque, il pubblico che è il miglior giudice, applaudì il verdetto. In quel periodo avevo parecchi problemi alla mano destra e faticavo a fare il peso. Che furono anche la causa della sconfitta un anno dopo sempre a Campione nella rivincita. La preparazione fu drammatica. Mi dovetti fermare diverse volte perché la mano mi faceva un male pazzesco. La quasi impossibilità dell’uso del destro, nella rivincita fu la causa principale della sconfitta, unita alla difficoltà di restare nei welter, non potendo allenarmi al meglio. Avrei potuto chiedere il rinvio, ma non sono abituato a certe furbate. D’altronde, sapevo benissimo che sarebbe stato l’ultimo match da welter.
Una volta salito nei superwelter, inizi un nuovo percorso che ti porta a combattere due volte per il mondiale WBC di categoria, trovando due campioni come Ricardo Mayorga nel 205 e Vernon Forrest nel 2007, sempre negli USA. Furono scelte giuste?
“Dopo la sconfitta contro Spinks, presi seriamente in esame la scelta del ritiro. La mano destra era sempre un problema. Anche se Salvatore Cherchi insisteva nel propormi opportunità importanti nella categoria superiore, mondiale compreso. Così ripresi l’attività agonistica sia pure in modo blando. Quando Cherchi, d’accordo con Don King, mi proposero il mondiale superwelter WBC vacante, non ebbi dubbi nell’accettare anche se avevo già 35 anni e calcavo il ring quasi da un ventennio. In Italia regnava il silenzio totale. Il 13 agosto 2005 a Chicago affronto Ricardo Mayorga del Nicaragua, già iridato nei welter, che aveva la struttura di un medio. Atleticamente mi sovrastava e questo fece la differenza. Arrivai in fondo per orgoglio, pagando sia l’impreparazione che l’irruenza scomposta e spesso scorretta di un vero bisonte”. Tornai a casa con una sconfitta onorevole e una discreta borsa, comunque impensabile in Italia”.
Sconfitta che non lasciò alcuna traccia, visto che a distanza di sette mesi (10 marzo 2006) diventi campione d’Europa superwelter a spese di Lukas Konecny sul ring di Bergamo. Europeo bis, ricordando che nel 1997 avevi conquistato quello dei welter, battendo a Novara l’inglese Geoff McCreesh, prima del limite. Niente male per un giovanotto di 36 primavere. Dopo la conquista europea ritrovi una seconda giovinezza.
“Non dico che sia stato causale, ma ricordo che contro Konecny, un signor pugile, con un record di 29 vittore e una sola sconfitta, oltre ad avere otto anni meno di me, salii sul ring poco concentrato. Fu proprio lui a darmi la sveglia, facendomi contare al secondo round. A quel punto scattò l’orgoglio. Prima di perdere, pensai, devo giocarmi tutte le mie carte. Infatti vinsi in modo netto e nacque anche una bella amicizia con Lukas, in verità un vero fenomeno. Capace di diventare campione d’Europa nel 2009 e battersi due volte per il mondiale WBO. Alternando il ruolo di manager, promoter e altro. Anche se ufficialmente ha chiuso da pugile nel 2014, con 50 vittorie e solo 5 sconfitte, ogni tanto risale sul ring per puro sfizio. Lo scorso aprile a 47 anni, ha disputato 6 round a Praga, battendo il connazionale Tomas Bezvoda, di dieci anni più giovane. Nel contempo organizza serate pro di buon livello. Dopo la conquista dell’europeo a sue spese, divento il protagonista a Milano, seguito da un grande pubblico. Due difese bellissime. Col Palalido esaurito, il 27 luglio 2006, supero il generoso Luca Messi fermato all’undicesimo round, dopo una sfida spettacolare. Il 25 gennaio 2007, sempre col Palalido strapieno, disputo uno degli incontri più belli contro il favorito inglese Michael Jones, messo ko all’ultima ripresa e pubblico in estasi. Non fatico a definirle le stagioni più belle da pro. Per un vecchietto di 37 anni”.
Il primo dicembre 2007 torni per la quarta volta negli USA. Nel prossimo gennaio spegnerai le 38 candeline. Ti aspetta un campione con i controfiocchi: Vernon Forrest, iridato superwelter WBC, avversario che conosci bene. Lo avevi affrontato ai mondiali dilettanti 1991 in quel di Sydney in Australia. Ci avevi perduto ai punti. A distanza di 16 anni, la seconda sfida. Ancora per un mondiale, stavolta da prize-fighter. Come andò al Foxwoods Resort di Mashantuket (Connecticut) nel Nord America? E quanto ti ha reso come borsa?
“Forrest era un grande campione, un anno più giovane. Completo tecnicamente, fisico imponente e talento da vendere. Era stato mondiale welter sia IBF che WBC, nel 2001 e 2002, Sale di categoria ma inciampa due volte contro il colombiano Ricardo Mayorga, la sua bestia nera. Afferra la cintura vacante WBC il 28 luglio 2007 a Tacoma, stato di Washington, dominando Carlos Manuel Baldomir, argentino di Santa Fe, ex-iridato WBC e IBA nei welter (2005-2006). Contro di me era la prima difesa. Stavo bene, mi ero preparato al meglio anche capivo che avrei speso gli ultimi spiccioli. Vernon era superiore, più potenza e altro. Comunque anche se il punteggio vedeva il mio avversario avanti, mi difendevo bene. Purtroppo all’ottavo round, feci un movimento brusco e mi ruppi la caviglia. Sfido chiunque a dare il meglio in quelle condizioni. La resa all’undicesima ripresa, fu dovuta a quell’incidente. Non riuscivo più a stare in equilibrio, diventando un bersaglio facile per un campione come Forrest. Nell’occasione presi la borsa più alta in assoluto: 380.000 dollari. Ma non fui fortunato nel cambio, e alla fine le vidi ridotta quasi del 50%. Una vera disdetta”. Ci credereste? Boxe Ring, diretto dal soggetto di cui ho accennato prima non scrisse una riga di quel mondiale! Di certo il periodo più negativo della gloriosa rivista, dove trovarono spazio gli amici fidati e il direttore viaggi pagati dalla FPI. Torno a parlare di Forrest. Nel 1997, in piena attività, aveva fondato la Destiny’s Child Inc., che dava assistenza ai disabili mentali, fornendo alloggio e supervisione giorno e notte da parte di professionisti qualificati. “Era la sua vocazione – le parole di Swanson il suo maestro -. Quando non praticava la boxe, era il suo lavoro a tempo pieno… I bambini, quando lo vedevano, si illuminavano e alcuni di loro non riuscivano nemmeno a parlare per la gioia. Vernon era molto coinvolto nell’aiutare i più deboli. La domenica invitava alcuni dei ragazzi a casa sua. Erano parte della sua famiglia.” Forrest venne ucciso il 25 luglio 2009 ad Atlanta, in Georgia. Aveva 38 anni e deteneva la cintura WBC superwelter. Si era fermato a una stazione di servizio per gonfiare le gomme della sua Jaguar intorno alle 23:00, quando un’altra auto si fermò e fu avvicinato da almeno due uomini in un tentativo di rapina. Forrest si lanciò all’inseguimento. Fu colpito da diversi colpi d’arma da fuoco. Tre uomini, il 28enne Jquante Crews, Demario Ware e il presunto killer Charmon Sinkfield, furono condannati per il crimine.
Fai parte dei pochissimi italiani campioni del mondo in due sigle. Con la WBU, che la FPI non riconosceva, sbagliando, dove hai battuto fior di campioni come Martin Coggi il giustiziere di Patrizio Oliva, Felix Vasconcel e i titolati mondiali Raffaele Pineda e Frankie Randall. Hai chiuso la strada anche ad Alessandro Duran per due volte. Totalizzando ben undici sfide mondiali. Quali riconoscimenti ufficiali hai ricevuto?
“Come bene elenchi ho dato molto al pugilato italiano. Mi sono preso molte soddisfazioni, ho vissuto emozioni indimenticabili, sono stato gratificato dagli applausi del pubblico e tanto altro. In particolare l’affetto della famiglia, che vale più di tutto. Un premio al duro lavoro della palestra, al sudore e anche ai numerosi infortuni che mi hanno accompagnato come ombre sinistre. Ho trovato in Salvatore Cherchi un ottimo manager e un amico. Per il resto, chi avrebbe dovuto dirmi grazie, rappresentando la federazione, alla quale ho portato trofei prestigiosi, ha fatto finta di niente. I riconoscimenti? Certo, uno molto importante, il Collare d’oro al merito sportivo da parte del CONI, che ringrazio di cuore. Il resto zero, che reputo vergognoso”. Dopo il ritiro sei rimasto in contatto con la boxe? In che modo? “Quando decisi di ritirarmi dal pugilato, non avendo più stimoli, restai per un po’ in disparte. Quando mi sono riaffacciato, nel mondo della boxe non c’era più spazio per me, sia per la FPI che la TV. Forse sono troppo datato, forse non ricordano o fanno finta di non ricordare quello che ho fatto sia da dilettante che da professionista. Chi meglio di una persona che ha fatto pugilato da oltre 40 anni ad alti livelli può insegnare o commentatore, usufruendo della mia esperienza”, Hai due figlie, ti hanno mai chiesto di seguire le tue orme?
“Nessuna delle due ha mai manifestato interesse per il pugilato. Posso solo dire che sono orgogliose del papà. Lo ammirano e lo stimano”. Hai avuto problemi agli occhi piuttosto gravi. Costringendoti a cedere il bar. Hai fatto presente alla FPI la tua disponibilità come insegnante con la nazionale. Che risposte hai avuto?“Ho fatto un paio di telefonate dando la mia disponibilità come tecnico della nazionale, ma le tempistiche della risposta e stata lunga quanto una gravidanza. Non sapendo cosa dirmi per tenermi fuori. Evidentemente si accontentano di chi ha poca esperienza ma tanta dialettica, Preferendolo a chi è stato protagonista sul ring a livello mondiale”.
Giuliano Orlando