Luca Messi, indomito guerriero, sognando Rocky. Parte 1

Ha insegnato la boxe ai seminaristi, col fratello sacerdote. E ha portato Don King dal Papa. Nel 2005 a Chicago sfiora la grande impresa, tenendo testa a Alejandro Garcia, iridato WBA superwelter.
Luca Messi ha varcato il mezzo secolo all’inizio dell’anno, mantenendo una condizione atletica invidiabile e la verve che lo ha sempre contraddistinto. Dopo una milizia di ring, iniziata nel 1995 a 15 anni proseguita fino al 2015 a 40 primavere, con uno score di 50 match da dilettante e altrettanti da pro, la sua condizione attuale è semplicemente invidiabile. La boxe è stata lo stimolo e la scelta che lo ha fatto crescere in tutti i sensi. Come uomo responsabile e avveduto e come pugile, capace di arrivare alla cima assoluta, sfiorando l’impresa clamorosa. Prima dell’intervista mi è sembrato doveroso, riportare quanto pubblicato da Boxe Ring, sul mondiale disputato all’United Center di Chicago nell’Illinois, il 13 agosto da Luca Messi contro il messicano Alejandro Garcia (24-1) detentore della cintura WBA superwelter. “Le previsioni per il bergamasco Luca Messi, amministrato da Mario Loreni, erano delle più fosche. Don King, temendo il peggio non aveva inserito la sfida mondiale nel menù televisivo. Nonostante che il Consiglio della FPI, fosse intervenuto direttamente e all’unanimità per concedere al superwelter italiano, l’autorizzazione al match, ritenuto da molti troppo azzardato. Invece il modesto e coraggioso atleta italiano è riuscito a mettere in difficoltà il messicano in varie circostanze e specialmente nel 2° e 7° round, quando è arrivato ripetutamente a segno, a conferma delle carenze difensive di Garcia, duro colpitore, ma macchinoso nel fraseggio tecnico. Messi si è battuto al limite delle capacità di cui era accreditato e forse anche oltre, riuscendo a rendere per qualche istante “di burro” le gambe del messicano. Purtroppo nel momento in cui sembrava in grado di ribaltare l’andamento del match, è incappato in un destraccio del campione che di fatto ha chiuso le operazioni. Per Messi una sconfitta preannunciata ma meno dolorosa del previsto, ai punti. Anzi, la volitiva prova dell’italiano gli consente di poter aspirare a nuovi ingaggi e chance sui ring statunitensi”. Non ho aggiunto o tolto una riga, riportando la parte centrale del servizio, che comprendeva anche la sfida di Piccirillo contro Mayorga per il vacante titolo WBC welter. Un meritato riconoscimento al pugile non baciato dal talento naturale, ma capace di ottenere il rispetto e il riconoscimento dovuto ai campioni, grazie all’impegno e alla volontà.
Dove e quando sei nato, quando hai deciso di praticare la boxe?
“Sono nato a Bergamo il 12 febbraio 1975, quindi faccio parte dei soggetti del “secolo scorso”. Decisi di praticare la boxe, dopo aver visto per la prima volta un film di Rocky in tv. Lo giuro, ero solo un ragazzino che sognava e pensava a come potesse un italiano partito dal nulla riuscire ad arrivare in America e combattere addirittura per il campionato mondiale? E poi diventare campione assoluto. Quel sogno lo lasciai nel cassetto fino a poco tempo prima di compiere i diciotto anni, quando purtroppo, in una delle frequenti risse per strada, con un solo pugno feci molto male ad un ragazzo. Questo mi costò un procedimento penale, creandomi ovviamente diversi problemi. Ma, grazie al cielo, essendo ancora minorenne, non rimediai nessuna condanna particolare e riuscii poi ad ottenere il “perdono giudiziale”, mantenendo ancora la fedina penale immacolata. Tutto ciò mi fece finalmente capire e decidere di andare ad incanalare e scatenare la mia rabbia in una palestra di pugilato, la Bergamo Boxe”.
In precedenza hai praticato altri sport?
“Saltuariamente calcio, motocross e karate, ma tutti con scarsi risultati visto l’impegno molto relativo”.
L’atteggiamento della famiglia?
“Quando feci sapere di voler frequentare una palestra di boxe, il commento della famiglia, fu unanime: vai pure, prenderai qualche cazzotto in faccia e tornerai a casa. Sbagliando la previsione. Infatti, cosi non fu.”
Un tuo fratello è stato sacerdote, con lui avete fatto promozione anche in carcere. O sbaglio?
“Esatto, anche se da tempo è un ex sacerdote. Da diversi anni ha deciso di lasciare, ma finché ha vestito la veste talare, abbiamo promosso assieme la boxe ovunque: oratori, scuole, carceri e addirittura nel seminario di Bergamo. dove allenavo i “probabili nuovi preti,” i seminaristi, tenendo un corso proprio per loro in una mia palestra. Non solo, sul tema religioso, riuscimmo persino a realizzare uno dei sogni del mitico Don King, il quale pur con due omicidi alle spalle, mi confessò il desiderio di essere ricevuto dall’allora Papa Ratzinger Benedetto XVI. L’impresa si presentava tutt’altro che semplice ma con l’aiuto dell’amico Omar Gentile e della Diocesi di Bergamo, riuscimmo a farcela. Non ti dico la felicità di Don King, incredulo di aver incontrato il Sommo Pontefice. E aggiungo un’altra chicca. Credo che mio fratello, sia stato l’unico sacerdote ad essere all’angolo di un pugile, esattamente a Chicago nel 2005, per il mondiale contro Garcia. Se sbaglio, correggetemi”.
Sei stato allievo del maestro Egidio Bugada, fondatore del gym e ancora presente in palestra, nonostante l’età non più verde. Due figli sul ring con ottimi risultati. Entrambi campioni italiani e azzurri in nazionale. Il primo allena i ragazzi a Bergamo, il secondo è il presidente del Comitato Lombardo. Da dilettante, hai preso parte una sola volta agli assoluti nel1997 al Palalido di Milano, perdendo in finale dal bolognese Rotoli, verdetto contestato dal tuo maestro, salito sul ring per protesta. Presente a quei campionati come in precedenza e avanti fino agli ultimi del 2024 a Seregno, diciamo almeno ad una quarantina di edizioni, o forse di più. Più o meno quanti incontri hai disputato da dilettante.
“Mi stupisci. Evidentemente eri distratto e ti sei perso la mia presenza dell’edizione del 1996 a Roma, quando da debuttante come prima serie, arrivai in semifinale. Da dilettante ho disputato 50 match, tanti quanti quelli da professionista. Nell’edizione 1997 a Milano, il maestro Bugada fece benissimo a protestare occupando il ring. Quello fu un verdetto ingiusto, che privò me e la società Bergamo Boxe dell’oro ai campionati italiani, un sogno che rimase purtroppo tale per tutta la mia militanza in canottiera. Quell’episodio ovviamente mi convinse a gettare la canottiera e passare professionista”.
Per quanto riguarda l’edizione di Roma 1996, hai perfettamente ragione, e per farmi perdonare, aggiungo l’iter del tuo percorso da esordiente prima serie nei superleggeri. Debutti negli ottavi, battendo il sardo Fancello di Nuoro, nei quarti superi Longobardi, dopo tre round di fuoco. In semifinale incroci il campano Ventrone, 19 anni e un curriculum triplo del tuo. Ti batti bene e perdi dignitosamente (20-12). Conquistando un bronzo importante. Sul verdetto nella finale dell’edizione 1997, contro Rotoli non mi esprimo, anche se a fine match avevo la mia opinione. Passi pro nel 1998, sotto quale procuratore? Comunque, per mantenerti lavoravi?”
“Passai con Mario Loreni, anche se il termine professionista era improprio. Infatti lavoravo in una fonderia del mio paese a Ponte San Pietro, inoltre frequentavo le scuole superiori serali. Nei week end facevo il barista per arrotondare, ben deciso a non voler morire in quell’ambiente di merda, chiamato fabbrica. Ero certo di riuscirci grazie alla boxe e allo studio. Dovevo e volevo assolutamente cambiare vita.”
Dopo una partenza decisamente positiva con una striscia di 12 vittore, 8 delle quali prima del limite da peso welter, arrivano due stop pesanti e imprevisti, col tricolore in palio. Il primo nel 1999 contro il palermitano Michele Orlando che interrompe la tua serie vincente, il secondo nel 2000 a Bergamo, contro il campano Pasquale Perna, molto esperto. Che ricordi hai di quelle sconfitte brucianti?
“Ricordo perfettamente i due episodi e giuro che rappresentarono per me un “dramma” pesante. Non avrei mai pensato di poter essere sconfitto e in quel modo. Ma la boxe, grazie al cielo mi ha insegnato ad accettare la sconfitta ma, soprattutto a rialzarmi sempre e comunque, per continuare a combattere sul ring, come nella vita. Questo è uno degli insegnamenti fondamentali dello sport, in particolare della boxe.”
Da bergamasco testardo, che non molla mai, a distanza di nove mesi dalla sconfitta con Perna e dopo aver superato Francesco Pernice, sorretto dai tuoi numerosi tifosi in quel di Brembate, conquisti la cintura intercontinentale WBU welter a spese dello spagnolo Moreno Gamboa. Debuttando per la prima volta sui 12 round.
Una bellissima serata e grande pubblico, che mi aiutò col loro incitamento a conquistare un “sottotitolo”, comunque sempre importante, visto che era il primo. Oltretutto quella che mi misero ai fianchi era una bellissima cintura, che rappresentava la ciliegina sulla torta dopo la grande promozione che avevo fatto come atleta. L’avversario Gamboa era un colombiano residente in Spagna, niente male. In quel momento aveva ambizioni, reduce da una vittoria in Germania, possedeva anche pugni pesanti. Ma quella sera ero troppo in forma per battermi. Andò tutto bene grazie anche all’aiuto del socio dell’epoca ed ex Presidente Regionale, Omar Gentile”.
Finalmente, al terzo tentativo centri il tricolore. L’8 marzo 2002, nella tua Bergamo, batti dopo una battaglia spettacolare ed equilibrata il varesino Antonio Lauri, figlio d’arte e ottimo pugile. Ricordi quella sfida?
“Serata memorabile che mai scorderò. Il Palazzetto era strapieno e tutta la curva nord dell’Atalanta calcio venne a sostenermi. Match durissimo, fatto di continui scambi serrati, contro un signor pugile, anche se sono “straconvinto” di essermi meritato la vittoria. Che, ovviamente l’ormai amico Antonio Lauri continuerà a negarmi. Anche questo è il bello della boxe, come tutti gli sport da combattimento, dove il giudizio è soggettivo. La mattina successiva mia mamma, venne nel letto a darmi un bacio per farmi i complimenti. Ricordo ancora che solo il suo bacio mi fece male, dai tanti lividi che avevo ovunque, ma la gioia di uscire di casa e guardare tutti da campione italiano, mi fece passare ogni dolore. Festeggiai la vittoria per una settimana intera!”
Sempre nel 2002 conquisti l’interim WBA welter a spese del magiaro Laszlo Buranyi che si presentava imbattuto con dieci vittorie. Spedito KO al settimo round. Dopo la prima difesa vittoriosa contro il francese Samir Cherrad, la seconda nel dicembre 2004, fu meno fortunata: il transalpino Mustapha Bouzid ti batte prima del limite. Quattro mesi dopo, sempre a Bergamo, ritrovi lo stesso avversario e finite molto vicini dopo 12 round di fuoco. Decisione fischiatissima dal pubblico bergamasco. Cosa ricordi di quelle tre battaglie?
“Il primo fu un bellissimo match: Lazlo Buranyi era campione ungherese, dotato di ottima tecnica, che riuscii a piegare al settimo round, trovando la giusta combinazione. Nell’occasione a fare la telecronaca c’era l’immenso e indimenticabile campione Nino Benvenuti. Il colpo d’occhio del palazzetto ancora strapieno mi dava felicità e adrenalina, a conferma dell’affetto di una città intera che mi sosteneva sempre. Mustapha Bouzid? Un magrebino-algerino residente in Francia, alto 1.80, con braccia lunghissime che sapeva usare benissimo per colpire e legare. Furbo di tre cotte, la mia bestia nera. Mi spedì al tappeto nel primo round, con un destro maligno e preciso al volto. Mi rialzai e tenni duro fino alla metà del terzo tempo. Colpito ancora, l’arbitro decise di fermarmi e persi il match per ko tecnico. Per KO, in realtà non ho mai perso. Con orgoglio posso dire di non aver mai sentito il 10” dell’arbitro. Di quella sconfitta non ricordo nulla. Il match l’ho visto dopo, in televisione. Ricordo addirittura che in ambulanza, guardai la mia ex fidanzata e gli chiesi: ho vinto? Pazzesco. Da bergamasco testardo come sono, pretesi la rivincita, nonostante tutti me la sconsigliassero. Ma io insistetti come un bambino e il match si organizzò nuovamente. L’intera città attendeva lo scontro. Con Omar Gentile, riuscimmo a creare una forte atmosfera di suspence intorno all’evento. Ovunque fossi, mi fermavano per parlare o chiedere autografi. Decisi infatti di andare in ritiro un mese prima del match, proprio per stare più tranquillo. La preparazione fu perfetta, e sul ring lo dimostrai, arrivando alla fine dei 12 round, convinto di avercela fatta a riprendermi la cintura Intercontinentale WBA dei welter. Purtroppo un verdetto incomprensibile mi diede sconfitto nuovamente, sia pure per split decision. Comunque, una beffa. Mi è rimasto a lungo quel triste ricordo dei 12 bellissimi round combattuti e malamente ripagati da due giudici incompetenti.”
La prima trasferta all’estero non si scorda mai. La tua prima volta ti porta in Danimarca a Copenaghen, salendo nei superwelter, nel novembre 2004 contro Reda Zam Zam, un libanese dal gran fisico imbattuto e col pugno pesante. Hai chiuso ai punti sui sei round. Una buona borsa?
“La borsa non era male, ma il fattore campo pesò sul risultato. Già il pari sarebbe stato un regalo per Zam Zam, fisico imponente, ma bersaglio facile. Purtroppo mi ritrovai con un’altra sconfitta ingiusta. Come contropartita, ebbi l’opportunità di essere visto, nientemeno che dal mitico Don King, che nell’occasione accompagnava il suo pugile Manny Siaca, un portoricano impegnato per il titolo Internazionale WBC super medi contro il campione, il danese Mikkel Kessler che mantenne la cintura, sia pure per ferita. Mi sembrava di essere fuori dalla realtà quando lo vidi entrare nel mio spogliatoio per stringermi la mano. Gli dissi: il mio desiderio più grande e quello di combattere per il titolo mondiale negli Stati Uniti. Mi sorrise e mi rispose che lui non era solo un manager, ma uno che realizzava i sogni delle persone! Uno dei momenti che non scorderò mai e che a distanza di un anno realizzai”.
Nella nuova categoria superwelter diventi campione italiano al primo tentativo, battendo Alessio Furlan. Vittoria facile?
“E’ il 16 aprile 2005 al Palazzetto di Bergamo. Inizia il match con buone fasi tecniche e infatti nei primi round ero nettamente in vantaggio. Poi non so per quale motivo, venne fuori il mio istinto rissaiolo di una volta, e caddi nella bagarre favorevole a Furlan, che infatti stava risalendo nel punteggio. A quel punto, ben due testate che credo e spero siano state involontarie, mi aprirono le arcate sopracciliari. All’arbitro non restava che la squalifica di Furlan. Come avvenne. Tra l’altro stavo molto bene. Avevo svolto il primo mese di preparazione per quel match con Furlan, nientemeno che con Don King a Miami in Florida. Per raccontare questa storia della trasferta, ci vorrebbe un altro articolo.”
di Giuliano Orlando