Imane Khelif sfida la World Boxing

Imane Khelif sfida il divieto di World Boxing: “Sono una donna e continuerò a combattere”
La storia di Imane Khelif, talento mondiale della boxe femminile, è tornata al centro dell’attenzione. La 26enne algerina ha presentato ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport (CAS) contro la decisione di World Boxing, che l’ha esclusa dalle competizioni finché non si sottoporrà a un test genetico preliminare sul sesso biologico.
Khelif, che solo un anno fa ha conquistato l’oro olimpico nei welter a Parigi, ha depositato l’appello il 5 agosto, con l’obiettivo di ottenere il via libera per partecipare ai Mondiali 2025, al via questa settimana. Ma lunedì è arrivata la prima doccia fredda: il tribunale ha respinto la sua richiesta di sospendere la misura in via provvisoria. La battaglia legale, quindi, entra nel vivo: nelle prossime settimane le parti presenteranno le proprie memorie scritte, in attesa dell’udienza ufficiale.
Una decisione controversa
World Boxing, lo scorso anno, ha introdotto una nuova politica denominata “Sex, Age and Weight”, imponendo controlli di genere obbligatori per tutti gli atleti. Nel comunicato di presentazione, l’organizzazione fece il nome proprio di Khelif come caso simbolo, sostenendo che le nuove regole fossero necessarie per “garantire la sicurezza e l’equità competitiva tra uomini e donne”.
Non è la prima volta che l’algerina si trova al centro di polemiche: nel 2023, l’International Boxing Association (IBA)le aveva negato l’accesso ai Mondiali per presunte irregolarità nei criteri di idoneità di genere. Un provvedimento che non le impedì, pochi mesi dopo, di scrivere la storia a Parigi con la medaglia d’oro olimpica, da lei vissuta come una vittoria non solo sportiva, ma anche personale.
“Sono pienamente qualificata per combattere. Sono una donna, sono nata donna e ho sempre vissuto come tale”, aveva dichiarato allora. “So che ci sono persone che cercano di minare il successo degli altri, ma questo rende la mia vittoria ancora più dolce”.
Una questione che va oltre lo sport
Il caso Khelif si inserisce in un dibattito che scuote il mondo dello sport da decenni: chi decide cosa significa essere donna in ambito competitivo?
Un rapporto di Human Rights Watch del 2020 ha documentato come, negli ultimi 80 anni, i test di determinazione del sesso siano stati usati soprattutto per controllare e limitare la carriera delle atlete, in particolare donne nere e provenienti da contesti poveri.
Il precedente più famoso resta quello di Caster Semenya, campionessa sudafricana degli 800 metri, costretta a prendere farmaci per abbassare i suoi livelli di testosterone per oltre sei anni. “Molte ragazze nelle mie condizioni non hanno né i mezzi né le conoscenze per difendersi”, scriveva Semenya in un editoriale del 2023, denunciando un sistema che, di fatto, schiaccia chi non rientra nelle categorie tradizionali di femminilità.
Politica, scienza e diritti
Il tema dei test di genere e della partecipazione delle atlete trans è diventato terreno di scontro politico. Negli Stati Uniti, lo scorso febbraio, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che vieta alle ragazze e donne transgender di competere negli sport scolastici femminili. In Inghilterra, la federazione calcistica ha annunciato a maggio lo stesso divieto per il calcio femminile.
Molti scienziati, però, contestano la logica di queste misure: secondo diversi studi, le atlete trans in terapia ormonale non hanno vantaggi fisici significativi rispetto alle donne cisgender, e anzi in molti parametri risultano svantaggiate.
Una battaglia simbolica
La vicenda di Imane Khelif è dunque molto più di una questione sportiva. È il simbolo di una sfida globale tra tradizione e inclusione, tra categorie rigide e identità più fluide.
Per lei, però, resta soprattutto una questione personale: la possibilità di salire sul ring, di continuare a combattere e di difendere il titolo conquistato a suon di sacrifici.
Il verdetto del tribunale sportivo arriverà nei prossimi mesi. Nel frattempo, la voce di Khelif risuona forte: “Sono una donna e continuerò a lottare, dentro e fuori dal ring”.