Al Vigorelli di Milano nel 2006, Luca Messi affronta Piccirillo per l’europeo. Parte 2

Dopo quel match viene ritenuto inidoneo dalla FPI. Da esiliato combatte negli USA e in altre nazioni. Reintegrato nel 2014 a 39 anni! L’addio nel 2015 battendo Grassellini. Oggi attivo imprenditore nel settore massoterapico.
Riprendo l’intervista, tornando alla trasferta di Chicago nell’agosto 2005. A smentire il timore di chi riteneva la sfida contro il messicano Alejandro Garcia un suicidio, la tua prova sul ring fu un piccolo capolavoro. Fu anche la borsa più alta in assoluto?
“Si trattava di un mondiale, mica bruscolini, e anche il rischio era alto. Per questo Don King mi assicurò una buona borsa. Ma vorrei sottolineare che si realizzava il sogno della mia vita di pugile. Per questo l’affrontai nel segno di una conquista. Mi misi in testa di viverla come fosse un film del quale io ero il protagonista, senza altre considerazioni, altrimenti non avrei mai retto a tutto ciò che stavo vivendo. Io, operaio di Ponte San Pietro che come Rocky Balboa sbarcavo in America per il titolo mondiale, un sogno, ma ve lo immaginate? Il mio sogno, quello di ogni pugile che si stava realizzando. Certo, questa domanda e quel momento meriterebbero un libro. Senza escludere che possa realizzarlo”.
Nel luglio 2007 tenti l’europeo superwelter contro Michele Piccirillo, il match fissato al Vigorelli di Milano. La resa all’11° ripresa. Davvero bravo Piccirillo?
“Sapevo che Michele era un grande pugile, gli avevo infatti fatto da sparring diverse volte su sua esplicita richiesta, ma visto le dichiarazioni rilasciate da lui su di me, proprio a riguardo del nostro match valido per il titolo europeo, e delle mie qualità pugilistiche da lui descritte, non merita nemmeno che ne parli. Il rispetto è fondamentale e reciproco. Anche se ha vinto sul ring, ha perduto come collega. Passiamo alla prossima domanda”
Dopo quel match sei rimasto fermo quasi due stagioni. Torni sul ring nel 2008 a 33 anni, in Albania a Tirana, nello stesso anno a giugno vinci in Francia e a settembre voli negli USA a Biloxi nel Mississippi per un test facile contro il collaudatore Anthony Bowman, che batti sugli otto round. Toccata e fuga in vista di una nuova opportunità importante?
“Dopo quel match disputato al Vigorelli avvenne qualcosa di drammatico, infatti la “benemerita” FPI, tramite la commissione medica, mi negarono definitivamente l’idoneità, con esami molto aleatori, senza documentarsi sulla mia condizione reale. Per farglielo capire ci vollero ben 8 anni di battaglie legali, e dopo avermi costretto a combattere in tutto il mondo, ma non in Italia. Ripeto, otto anni, una vita per un atleta, per venirne fuori. Potrei chiederti di scrivere libro per far capire a che punto di ottusità erano arrivati i responsabili”.
Dopo gli USA, prosegui e combatti sempre all’estero. Tra il 2008 e il 2011 sali sul ring otto volte, combattendo in Svizzera, Germania quindi in Inghilterra, dove nel 2010, tenti per la seconda volta di conquistare l’europeo. Niente da fare, a Sheffield, nel Nord Ovest dell’Inghilterra, il locale Ryan Rhodes un mancino abile ed esperto si dimostra troppo forte e ti arrendi all’ottava ripresa. L’inglese a sua volta andò in Messico l’anno dopo contro il mitico Canelo Alvarez per il mondiale WBC, arrendendosi solo all’ultima ripresa. Come andò quel confronto? D’altronde non eri più un ragazzino, visto che avevi superato le 35 primavere.
“Chiedo a te, con quale spirito un pugile italiano che combatte con licenza francese, ma vive a Bergamo, costretto ad allenarsi in Francia, che dovrebbe essere mentalmente preparato e rilassato, in quali condizioni sale sul rin? Tra l’altro a me non piace raccontare bugie, e confermo che in quel momento Ryan Rhodes era più forte di me, non ci sono storie. Tu stesso hai aggiunto che l’inglese ha tenuto botta con un super campione assoluto come Canelo Alvarez”.
Comunque accetti l’offerta di combattere ancora in Inghilterra a Bury nel Lancashire, contro Tony Randell, collaudatore largamente battibile. Alla fine delle sei riprese tra la sorpresa generale, l’arbitro giudice assegna la vittoria all’inglese. Verdetto giusto?
“Quale giusto? Un furto colossale, spiegabile solo con la faziosità e la malafede di certi arbitri, che per spirito nazionalistico, stentano a darti la vittoria anche se spedisci il pugile locale al tappeto. L’aspetto più deprimente era il fatto che si trattava di un match senza alcun titolo in palio. Un non senso assoluto”.
Dopo il furto contro Randell, annunci il ritiro. Cosa fai da ex pugile? Che rapporti mantieni con i tuoi manager? Mi sembra che ti impegni anche nel sociale o mi sbaglio. Con quali colleghi mantieni i rapporti
“In quel periodo stavo già pensando al dopo boxe e iniziavo a mettere in pratica ciò che avrei realizzato a tempo pieno, una volta appesi definitivamente i guantoni al chiodo. Ma non potevo finire la mia carriera così, con un’inutile sconfitta in terra inglese peraltro contro un signor nessuno, Luca Messi non poteva finire così! Volevo e dovevo tornare a combattere a casa mia, con licenza italiana, per chiudere la carriera davanti al mio pubblico di Bergamo. Questa volta mi affidai ad un ottimo avvocato, Massimo Lana del Foro di Milano che conosceva molto bene il mondo dello sport e le dinamiche del CONI. Ovviamente mi consigliò da subito di ritirare la causa intentata nei confronti del Coni, ed ovviamente alla Federazione Pugilistica Italiana, per la non idoneità rifilatami dopo 15 anni di carriera, dovuta ad una situazione esistente fin dalla nascita. La stessa causa purtroppo mi stava portando ad una probabile “sconfitta legale” che mi sarebbe costata un enorme esborso economico per le spese legali della controparte. Grazie all’ottimo lavoro dell’avvocato Massimo Lana, evitai il temuto aggravio di spese, ottenendo per contro la possibilità di essere rivalutato a livello sanitario medico sportivo”.
Nonostante le previsioni positive in chiave futuribile, come i marinai, non mantieni le promesse e nel luglio 2014 torni negli USA a Parsippany, cittadina del New Jersey, non lontano da New York, dove affronti da peso medio, il giovane ed emergente Antoine Dougla, pugile di colore di buona qualità, che ti batte per KO al secondo round.
Vero, un match che non avrei dovuto fare, contro un pugile giovane, imbattuto, e di ben due categorie sopra la mia. Un match a perdere in partenza. Infatti al secondo round presi un colpo che mi fece toccare il tappeto, mi rialzai subito ed ero molto cosciente. Quando vidi l’arbitro che mi contava, alzai bandiera bianca, evitando ulteriori conseguenze contro un pugile molto più pesante. Me ne tornai a casa con un’ottima borsa rispetto a ciò che si guadagna in Italia. Rientrai subito all’albergo di New York, ma mentre passeggiavo per Manhattan quella notte mi dissi: “Luca è finita”. Dopo quella riflessione, nacque l’idea di organizzare il match d’addio nella mia amata Bergamo”.
“Nel 2014 volai a Roma, proprio presso il Centro di medicina dello Sport del Coni, per la tanto attesa visita medico sportiva. Mi sembrava di tornare all’United Center di Chicago per il mondiale, accompagnato dalla mia amata Roberta. Avevo bisogno del suo sostegno, non immaginavo come avrei reagito se non avessi ottenuto la tanto agognata idoneità, ma nemmeno se l’avessi riottenuta. Infatti, appena la commissione medica dopo un’intera mattinata di consulti medici, mi guardò sorridendo e io scoppiai a piangere davanti a loro, come tutt’ora sto peraltro facendo, ricordando quegli istanti. Uscii dallo studio medico in lacrime e abbracciai subito mia moglie la quale ovviamente pensava che fosse andato tutto male. Invece erano lacrime di gioia, dopo 8 anni di carriera “buttati nel cesso”, esilio finito. Luca Messi era tornato idoneo. Assurdo!
Mica è finita, sempre nel 2014, trovi con Elio Cotena l’ingaggio a Ischia, l’isoletta di fronte a Napoli, dove il locale Salvatore Annunziata ti batte ai punti.
“Ero tornato a combattere in Italia, otto anni dopo la sfida europea con Piccirillo avvenuta nel 2006. Anche se l’anagrafe mi avvertiva che non ero più un pivellino, mi sentivo pieno di speranze e progetti, che purtroppo o forse meglio, svanirono miseramente al primo match in patria. Sul ring di Ischia uscii sconfitto in un match sulle 6 riprese contro Salvatore Annunziata, un pugile che avrebbe potuto solo farmi da sparring qualche anno prima. Non capii proprio perché mi diedero quella sconfitta ai punti, non aveva nessun senso farlo. Mi piacerebbe rivedere quel match per capire quell’assurdo verdetto, ma incredibilmente non ho le immagini. Ma forse è stato meglio così.”
Ci pensi un po’, e l’anno dopo, il 25 aprile 2015 a primavera e a 40 anni, saluti il tuo pubblico accorso numeroso al Palasport Piscine Italcementi per l’ultimo fragoroso applauso, dopo la bella vittoria sul mai domo Giancarlo Grassellini, non certo un collaudatore. Che batti per KO alla seconda tornata. Un commiato perfetto. Concordi?
“Il mio match d’addio contro Grassellini è stata la risposta a chi mi ha impedito di combattere in Italia, la mia Patria. Potrei aggiungere molte altre considerazioni, ma non voglio immalinconire questa lunga e bellissima intervista. Che considero un privilegio offertomi da un grande giornalista, al top del settore.”
Da allora sono passati dieci anni, tanto e poco, Cosa fa Messi oggi? Quali i ricordi più belli? Cosa ripeteresti della lunga carriera e cosa eviteresti?
“Durante la mia carriera “grazie al cielo”, pensavo anche al dopo, non volevo fare la fine di troppi pugili che mi avevano preceduto e mi rattristava vedere come vivevano. Durante la mia carriera come dilettante infatti, frequentavo le scuole serali, ed ovviamente lavoravo e mi allenavo pure. Spesso mi chiedo come abbia potuto fare contemporaneamente tutto. Mi diplomai nel 1998 come massofisioterapista, professione che scoprii personalmente rivolgendomi proprio a loro addetti ai lavori, per risolvere i vari piccoli infortuni dovuti agli allenamenti. Un lavoro specializzato che svolgo con dedizione e passione. Il mio leit-motive è: prima li spaccavo, ora li sistemo. Inoltre amministro il Centro di Medicina dello Sport che ho personalmente aperto nel lontano 2000 proprio nel mio paese, Ponte San Pietro in provincia di Bergamo. Quando torno a casa, oltre a Roberta, una moglie meravigliosa, trovo un cane altrettanto affettuoso che “casualmente” si chiama Marvin”.
Ti guardi indietro e ripassi il passato
Rifarei tutto allo stesso modo, attraverso la boxe ho realizzato il sogno della mia vita, quindi non cambierei nulla, nemmeno le cose peggiori! Purtroppo la benemerita FPI mi ha fatto arrivare al punto di disgustare il mondo della boxe, ma non la boxe. Chiudo con una frase di Ernest Hemingway: “L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un vero uomo può essere distrutto ma non sconfitto”. Complimenti, Luca. Un vero guerriero, sia da pugile che da uomo. Un grande esempio senza tempo. Chissà che in futuro non ti venga in mente di mettere a profitto la lunga esperienza di ring, per metterla a profitto con i ragazzini, come hai fatto con gli aspiranti sacerdoti. Auguri.
Giuliano Orlando