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Luciano “Bazooka” Abis: Intervista Esclusiva | Boxe Sarda

Luciano “Bazooka” Abis: Intervista Esclusiva | Boxe Sarda
  • PublishedOttobre 17, 2025

Intervista esclusiva a Luciano “Bazooka” Abis: campione sardo, la storia con Canelo, il furto di Osini, l’eredità per le nuove generazioni. Una leggenda racconta.

1. IL BAMBINO CHE NON TOGLIEVA MAI I GUANTONI

Luciano, hai iniziato a boxare a 5 anni. Cinque anni! Un’età in cui gli altri bambini giocano con le macchinine, tu indossavi già i guantoni. Cosa ti ha spinto verso quel sacco da boxe così piccolo? C’era qualcuno in famiglia che ti ha trasmesso questa passione o è stato amore a prima vista con il ring? E cosa vedevi in quello sport che gli altri non capivano?

In realtà avevo appena compiuto 4 anni quando ho iniziato. Provengo da una famiglia di pugili: mio padre era ancora in attività, aveva 27 anni e stava chiudendo la carriera combattendo a livello interregionale. Era un buon dilettante e mi portava sempre con lui in palestra. Anche i fratelli di mia madre erano tutti pugili, in particolare mio zio Fabrizio Cappai che faceva parte della nazionale italiana.

Quando ero piccolissimo mi portavano a vedere i tornei in giro per l’Italia. Sono stato al torneo di Mestre, al campionato d’Europa di Torino, e ho conosciuto i grandi campioni dell’epoca: Biagio Chianese, Nardiello, Giovanni Parisi. Ho ancora delle foto di quando ero bambino insieme a Giovanni. Già a quell’età mi facevano fare delle esibizioni nei tornei, piccole dimostrazioni prima degli incontri veri.

Ero portato naturalmente per questo sport. Ero un bambino un po’ burbero, un po’ malandrino come si dice da noi, litigavo spesso per strada. Quindi la boxe è stata la disciplina giusta per incanalare quel carattere. La cosa incredibile è che già da piccolo sognavo di diventare un campione, di vincere titoli importanti. E quel sogno non mi ha mai abbandonato, sono rimasto sempre attaccato alla boxe per tutta la vita.

2. L’ULTIMO CUSTODE DELLA SCUOLA SARDA: UN’EREDITÀ DA PORTARE AVANTI

Sei uno degli ultimi grandi rappresentanti di quella leggendaria scuola sarda che ha regalato all’Italia campioni mondiali come Tore Burruni, europei come Piero Rollo e Fortunato Manca, e fenomeni come Franco Udella. Cagliari negli anni ’50 e ’60 era una delle capitali mondiali del pugilato, con 30.000 persone allo stadio per un match. Cosa significa per te essere l’erede di quella tradizione? Ti senti il peso di quella storia gloriosa sulle spalle? E perché la Sardegna, quest’isola, ha prodotto così tanti grandi pugili?

È sempre stata una grande responsabilità rappresentare una terra come la Sardegna, una vera fucina di campioni. La nostra isola ha sempre prodotto grandi pugili, veri guerrieri. Tra questi c’è il mio maestro Marco Scanu, che merita di essere menzionato tra i grandi anche se spesso non viene ricordato abbastanza. Marco è stato campione d’Europa e olimpionico a Città del Messico nel 1968. Era un peso welter di grandissimo talento, tanto che avrebbe dovuto sfidare Ray Sugar Leonard per il titolo mondiale.

Marco mi ha preso in palestra quando avevo 4 anni e mi ha seguito per tutta la carriera, sia da dilettante che da professionista. A 14 anni sono diventato campione italiano giovanile e sono entrato in nazionale. Ho vinto il bronzo agli europei e poi ho fatto tutta la trafila: mondiali, europei a Birmingham in Inghilterra, europei in Grecia. Lui è stato al mio angolo per tutta la vita, un rapporto incredibile.

Portare avanti questa tradizione insieme ad altri grandi pugili sardi come Maludrottu, Sarritzu ed Erittu è un onore. Dopo di noi c’è stato un po’ un vuoto, il pugilato in Sardegna ha avuto un calo. Oggi spero che i giovani riescano a riportare in alto la bandiera sarda che ha sempre prodotto grandi campioni.

3. “BAZOOKA”: DA DOVE VIENE QUEL SOPRANNOME CHE TI RENDE UNA LEGGENDA

I tifosi ti chiamavano “Bazooka” perché sul quadrato portavi una quantità impressionante di colpi precisi, potenti e puliti. Stanislas Salmon, il campione di Francia “scolpito nell’ebano”, lo sa bene: lo hai mandato KO alla seconda ripresa. Come è nato quel soprannome? È stata la prima persona che hai messo al tappeto a darti quell’etichetta? E quando senti ancora oggi quel nome, cosa ti fa venire in mente?

Il soprannome “Bazooka” nasce nel 2002, quando combattevo spesso in diretta su Eurosport e Sportitalia. Il giornalista e cronista Dario Puppo commentava i miei incontri e mi battezzò così: “Bazooka, perché colpisce e fa male come un bazooka”. Da quel momento il nome mi è rimasto.

In verità già quando ero in nazionale i compagni mi chiamavano così. Durante gli sparring con i titolari della nazionale, quelli che dovevano andare ai tornei importanti, capitava che mettessi qualcuno knockout. Mi dicevano “ma tu c’hai le bombe nelle braccia!” e quindi già allora ero Bazooka.

Per quanto riguarda Salmon, quello è stato un incontro particolare. Ero andato in Francia a difendere il mio titolo dell’Unione Europea, che oggi corrisponde all’Europeo Silver. Venivo da una sconfitta, un incidente di percorso contro un peso medio che avevo sottovalutato, andando sul ring senza la giusta preparazione e con la testa altrove.

Salmon era il campione di Francia imbattuto, aveva appena battuto due volte Orta ed era anche campione internazionale WBC. Combattevamo a Parigi, era l’idolo di casa. Alla prima ripresa l’ho mandato al tappeto tre volte, lo hanno fatto rialzare ogni volta e hanno allungato il minuto di recupero a due minuti per farlo riprendere. Alla seconda ripresa l’ho steso definitivamente. Quel match gli ha chiuso la carriera.

4. IL CAMPIONE DELL’UNIONE EUROPEA: LA NOTTE DI QUARTU CHE TI HA CAMBIATO LA VITA

24 luglio 2010, Quartu Sant’Elena, Is Arenas. Hai conquistato il titolo dell’Unione Europea contro il belga Kobe Vandekerkhove. Una testata al secondo round ti ha aperto l’arcata sopraccigliare, perdevi sangue, non vedevi bene sulla sinistra, ma hai continuato a combattere per otto round dimostrando una superiorità netta. I giudici: 76-69, 80-61, 80-61. Quella sera, davanti al tuo pubblico, ferito e sanguinante ma vittorioso: è quello il momento in cui hai capito di essere un vero campione? Cosa ti passava per la testa mentre combattevi quasi cieco da un occhio?

Lo stadio Is Arenas, quello dove poi ha giocato anche il Cagliari, quella sera era gremito. L’atmosfera era elettrica. Ho conquistato il titolo dell’Unione Europea contro Vandekerkhove, che oggi corrisponde all’Europeo Silver. Durante il match l’ho mandato al tappeto quattro volte, lo stavo letteralmente distruggendo.

Al secondo round però mi ha colpito con una testata che mi ha chiuso completamente l’occhio. Quando sei sul ring in quelle condizioni, lo sai anche tu Albe, pensi solo a combattere. Vuoi la guerra e guerra sia. Continuavo a colpire anche se vedevo da un occhio solo. Mi ricordo che pensavo a Rocky: “Mena quello di mezzo, picchia quello di mezzo”. E continuavo a distruggerlo.

Siamo arrivati al verdetto ai punti e il vantaggio era totale, unanime. Tutti i round erano miei, molti anche con due punti di scarto perché l’avevo mandato giù più volte. Quella vittoria, conquistata in quelle condizioni davanti al mio pubblico, è uno dei ricordi più belli della mia carriera.

5. CITTÀ DEL MESSICO, CANELO ALVAREZ E L’OCCASIONE SFUMATA

Si stava organizzando un match a Città del Messico contro un giovanissimo Canelo Alvarez, che all’epoca aveva circa 18 anni e stava iniziando a emergere. Poi tutto sfumò per questioni economiche e offerte migliori. Quanto c’è di vero in questa storia? Era davvero in cantiere quel match? E se fosse successo, se tu avessi affrontato quello che sarebbe diventato uno dei più grandi pugili della storia, come sarebbe andata secondo te? Hai mai avuto rimpianti per quell’occasione mancata?

È assolutamente vero, Albe. Canelo aveva 19 anni, io 29, ed eravamo entrambi imbattuti. Lui era campione del mondo Youth, io campione intercontinentale WBO e poi anche IBF. Mi proposero questo match per il mondiale Silver a Città del Messico, ma la borsa era ridicola: 12.000 dollari.

Nello stesso periodo mi arrivò un’altra proposta molto più interessante: combattere in Polonia contro Jackiewicz, che aveva appena messo knockout Bonsu. Nessun italiano voleva accettare quella sfida perché Bonsu era fortissimo, aveva battuto De Martinis, e Jackiewicz lo aveva steso. Io accettai immediatamente.

Mi preparai benissimo anche se durante gli sparring mi feci male al gomito destro, un’epicondilite che non mi permetteva di allungare bene il destro. Andai comunque in Polonia e combattei dodici round magnifici in un palazzetto strapieno. A fine secondo round lo incrociavo con il gancio destro e stavo per metterlo KO. Successivamente Jackiewicz batté Zaveck che era campione del mondo IBF, insomma affrontò e vinse contro grandi pugili. Quella fu una prova importante per me.

Il rimpianto di non aver affrontato Canelo Alvarez, che poi è diventato un campione assoluto, c’è sempre. Ma nella boxe i rimpianti sono parte del gioco. Mi avevano proposto anche di combattere contro Castillo, quello che aveva fatto gli epici match contro Corrales. Era salito di categoria a fine carriera e dovevamo fare il mondiale Silver a Cagliari, ma saltò tutto per problemi organizzativi. Anche il match con Canelo saltò per questioni economiche e organizzative. Così va la boxe.

6. IL MATCH CONTRO LEONARD BUNDU: IL TITOLO ITALIANO CHE NON FU

Tu contro Leonard Bundu per il titolo italiano dei welter. Eri nettamente in vantaggio, dominavi, e poi al quarto round una ferita al sopracciglio dell’avversario ferma tutto. Verdetto di parità. Per regolamento, se fosse durato un round in più, i cartellini ti avrebbero dato la vittoria e il titolo. Ti hanno tolto un sogno per una questione burocratica. Come hai vissuto quella notte? Ti sei mai rifatto pace con quell’epilogo assurdo? E Bundu, che è diventato poi campione europeo, cosa ti ha detto dopo?

È stato un grande match all’Allianz Cloud di Milano, che all’epoca si chiamava Palalido. L’arena era piena, una bella atmosfera, un grande evento. Quel titolo d’Italia per me valeva quanto un mondiale, perché oggi fanno combattere per titoli mondiali pugili di livello inferiore a quello che eravamo noi quella sera. Il match fa il titolo, non il contrario.

Ho affrontato un grande campione come Leonard Bundu. Dopo l’incontro abbiamo parlato e si è complimentato con me. Ero in vantaggio netto, l’avevo mandato al tappeto, lo incrociavo continuamente. Era il pugile perfetto per il mio stile perché sono un incontrista, quindi riuscivo a colpirlo bene e lui sentiva i miei pugni.

Bundu poi ha combattuto contro Thurman e Errol Spence, campioni mondiali di grande livello. Una cosa interessante: solo io e Errol Spence siamo riusciti a mandarlo al tappeto, con nessun altro è andato knockout che io ricordi. Quella sera ero in forma straordinaria. Ma sai com’è, ogni match ha la sua storia, ci sono pugili che con te non si trovano bene. E Bundu con me proprio non si trovava bene.

7. IL VERDETTO DISCUTIBILE DI OSINI: QUANDO LA BOXE TI SPEZZA IL CUORE

Giugno 2013, Osini. Tu contro Gianluca Frezza per il titolo italiano dei welter. Cartellini: un giudice ti dava in vantaggio di tre punti, gli altri due ti davano perdente di uno. Verdetto: 95-96, 94-96, 97-94. E poi la rissa sul ring tra i secondi. Un finale amaro per un match che sembrava tuo. Quella sconfitta quanto ti ha cambiato? È stata quella la sera in cui hai pensato “forse è ora di smettere”? E oggi, a distanza di anni, riesci a guardare quell’incontro senza incazzarti?

Questa è la sconfitta che ancora oggi mi brucia dentro. Quel match era mio, quel titolo italiano era mio, per me e per chiunque l’abbia visto. L’ho mandato al tappeto due volte nei primi round e l’arbitro non ha mai conteggiato i knockdown, anche se era evidente che era andato giù a causa dei miei pugni. Si è inginocchiato due volte, se non sbaglio, e gli hanno dato tempo per riprendersi.

Da quella sera non ho mai più rivisto quel match, non ce l’ho fatta. Un giudice mi dava tre punti di vantaggio, gli altri due mi davano perdente di uno. È una contraddizione totale. Quel titolo mi spettava.

La stessa sfortuna mi ha perseguitato anche con Bundu e poi con Bevilacqua nell’ultimo match. Con Bevilacqua stavo crescendo durante il match, lui stava calando. Lo stesso procuratore Buccioni me lo disse: “Luciano, tu stavi crescendo, lui stava calando”. Ma sono stato colpito continuamente da testate che non sono mai state sanzionate, veniva diretto con la testa.

Il titolo italiano mi è sfumato in tutti e tre i contesti, quasi come se non fosse destino. Il furto di Osini è stato particolarmente plateale. Ci sono stati chiari condizionamenti. Ma questo è il pugilato, funziona anche così purtroppo. Bisogna andare avanti.

8. TRE ANNI LONTANO DAL RING: QUANDO LA PALESTRA DIVENTA PIÙ IMPORTANTE DELLA CINTURA

Dopo Osini hai abbandonato temporaneamente la boxe per quasi tre anni. Hai aperto la Bazooka Boxing Gym a Maracalagonis e ti sei dedicato alla tua nuova palestra. Perché quella pausa? Cosa ti ha fatto capire che dovevi fermarti? E cosa ti ha fatto tornare nel 2016, vincendo per KO al primo round? La boxe ti ha chiamato di nuovo o era un conto in sospeso con te stesso?

Dopo quella delusione ero furioso. Mi sono preso una pausa di riflessione e ho capito che dovevo pensare anche al futuro oltre il ring. Avevo dedicato 14 anni consecutivi al professionismo, facendo solo quello. Era arrivato il momento di investire, di creare qualcosa di mio.

Ho aperto la Bazooka Boxing Gym e ho continuato a vivere di pugilato, che è la mia vita. Però già mentre avviavo la palestra avevo in mente di poter rientrare sul ring. Era tutto programmato: apro la palestra, la avvio, mi rendo indipendente con un allenatore che mi segue in palestra, continuo ad allenarmi senza mai fermarmi, e poi faccio il rientro. L’obiettivo era riprendermi quel titolo d’Italia che mi era stato negato.

Il problema è che quando sei un pugile pericoloso e cominci a invecchiare, gli altri ti evitano. Danno spazio ai giovani. Ho fatto un anno intero di preparazione aspettando un match per il titolo. A 39 anni, dopo 20 anni di carriera professionistica, un anno di preparazione senza combattere è pesantissimo per il fisico.

Sono stato rifatto sfidante ufficiale dopo Bevilacqua, ma è iniziato un valzer di rinvii. Uno rifiutava, un altro rifiutava, rinvii continui. Ho fatto cinque preparazioni complete. Al quinto rinvio ho deciso di salutare tutti e chiudere definitivamente. Mi sono dedicato completamente alla palestra e a tutto il resto che ho creato.

9. IL RIENTRO A 37 ANNI: L’ULTIMO ASSALTO CONTRO BEVILACQUA

Marzo 2017, Roma. 37 anni. Luciano Abis contro Vincenzo Bevilacqua, 23 anni, per il titolo italiano dei superwelter. Sei partito male, hai subito nei primi round, poi sei risalito con il cuore. Ma una ferita ha fermato tutto alla settima ripresa. Verdetto ai punti: 67-65, 68-65, 68-65 per lui. Sapevi che probabilmente sarebbe stato il tuo ultimo grande match. Come ti sei sentito quando il medico ha fermato l’incontro? C’è stato un momento in cui, sul ring, ti sei detto “è finita”?

 Nei primi round lui girava in continuazione sul ring, faceva la gimkana. Io lo cercavo per metterlo ko. All’angolo gli dicevano apertamente “entra con la testa” perché pensavano che io fossi fragile di sopracciglio. Ma chiunque si spacca se prendi testate dirette.

Continuava ad entrare come un caprone, testata dopo testata, e l’arbitro lo lasciava fare. Mi abbracciava, mi colpiva con la testa, mi ha spaccato. Io però stavo uscendo bene, lo stavo pressando, mettevo colpi puliti, ero sempre avanti. Stavo crescendo e stavo benissimo di fiato. Lui stava calando. Poi la ferita mi ha bloccato e hanno fermato il match.

Se avessi combattuto in un altro contesto, con quelle due-tre testate avrebbero fatto almeno due o tre richiami ufficiali, forse anche una squalifica. Lui era terrorizzato, parliamoci chiaro.

Però sono uscito vincente moralmente. Sono stato rifatto sfidante ufficiale e Bevilacqua ha lasciato il titolo. Avremmo dovuto fare la rivincita ma lui ha rinunciato alla cintura. Come ti ho detto prima, poi sono iniziati duemila rinvii e alla fine ho chiuso la carriera.

10. DA PUGILE A MAESTRO: TRASMETTERE IL BAZOOKA ALLE NUOVE GENERAZIONI

Oggi sei maestro, tecnico, e lavori con i giovani pugili sardi. I fratelli Cappai, Manuel e Patrick, sono cresciuti con te e mostrano quella stessa intelligenza pugilistica che avevi tu. Cosa significa insegnare a boxare dopo averlo fatto per una vita? È più difficile salire sul ring o stare all’angolo e guardare i tuoi ragazzi prendersi i colpi? E qual è la prima cosa che insegni a un ragazzo che entra in palestra per la prima volta?

Fare l’insegnante è un’altra storia, Albe. È un’emozione completamente diversa. Ho avuto dei ragazzi molto buoni. Uno in particolare è arrivato a fare l’esordio in nazionale, l’ho portato fino alla finale dei campionati italiani ma poi ha avuto un problema fisico e non ha potuto disputarla. Era fortissimo, colpiva duro. Ha esordito in nazionale nell’incontro Italia-Germania e ha vinto per knockout alla prima ripresa. Poi purtroppo ha smesso.

Oggi porto avanti un progetto contro il bullismo che sta prendendo sempre più piede. Quando i ragazzi arrivano in palestra insegno loro innanzitutto disciplina, rispetto, sicurezza e autostima. Gli dico chiaramente, anche se può sembrare brutale, che se vogliono combattere devono tirare fuori il carattere, devono avere le palle. Questo è fondamentale.

Sul ring non si gioca. Se vuoi fare carriera devi essere consapevole che devi dare anima e cuore. La boxe è uno sport bellissimo ma richiede sacrifici inimmaginabili. Devi privarti di tantissime cose, lo sai anche tu.

Patrick e Manuel Cappai sono i figli di mio zio Fabrizio, sono miei cugini. Li ho visti crescere da quando erano piccolissimi. Patrick era ancora un bambino quando venne a vedermi combattere contro Bundu per il titolo italiano. Sono cresciuti nell’ambiente pugilistico.

La differenza tra essere pugile ed essere allenatore è che come pugile sei tu in prima persona sul ring, mentre come allenatore devi trasmettere quello che sai ma poi è il tuo atleta che risponde e gestisce il match. Sono due emozioni completamente diverse.

11. BAZOOKA EVENTS: RIPORTARE IL GRANDE PUGILATO IN SARDEGNA

Hai fondato Bazooka Events insieme all’OPI Since 82 della famiglia Cherchi e alla New Spartans Club. A dicembre 2024 avete portato a Carbonia un evento internazionale trasmesso su DAZN Italia e ESPN+ negli USA, con il titolo europeo dei pesi piuma in palio. Qual è il tuo sogno per la Sardegna e il pugilato italiano? Vuoi riportare i fasti di quando 30.000 persone andavano allo stadio ad Amsicora per vedere Loi contro Manca? E quanto è difficile fare promotion in Italia oggi rispetto ai tempi d’oro?

Ho creato Bazooka Events nel 2023 per organizzare eventi professionistici di alto livello. In realtà organizzo eventi dal 2019, quando ho fatto il mio primo show. Poi è arrivato il Covid che ha bloccato tutti, e nel 2022-2023 ho ripreso con gli eventi professionistici.

A dicembre 2024 ho organizzato un grandissimo evento a Carbonia trasmesso su DAZN, con in palio il titolo d’Europa. C’era il grande Elli come main event e Turchi in un ottimo sottoclou. Dopo otto giorni ho organizzato un altro evento dove c’eri anche tu con Fighterslife e Sky 809, con Camili e La Bignan sul ring.

Il mio obiettivo è chiaro: riportare il pugilato in Sardegna ad altissimi livelli. Per farlo sto cambiando mentalità, strategie e modo di organizzare. Il metodo di qualche decennio fa era ormai obsoleto. Oggi ci siamo evoluti e stiamo accostando il pugilato anche allo spettacolo per avvicinare lo sport anche ad altri ambienti.

Questo è molto importante per far crescere la boxe. Per me è fondamentale che la boxe cresca in Sardegna e per questo è necessario organizzare eventi sempre più belli e importanti. Prossimamente organizzerò il match per il titolo di Argiolas. È un lavoro costante per riportare l’isola ai livelli di un tempo.

12. I GIOVANI DI OGGI E LA BOXE: MANCANO I SACRIFICI O LE OPPORTUNITÀ?

Hai detto che “i giovani oggi non hanno molta voglia di fare sacrifici, ma la boxe è questo: tanto sudore e tanti sacrifici”. Ma è davvero solo colpa loro o mancano le strutture, gli sponsor, le occasioni per emergere? Cosa ti risponde un ragazzo di 18 anni quando gli chiedi di alzarsi all’alba per correre e rinunciare alla festa del sabato sera? E tu, cosa gli prometti in cambio? Perché dovrebbe scegliere la boxe nel 2025?

I ragazzi di oggi vivono in un mondo completamente diverso dal nostro. Vengono in palestra, si allenano, si fanno i selfie e pensano che quello sia sufficiente. La verità è che oggi ci sono diecimila opportunità in più rispetto a quando eravamo giovani noi. Se sei davvero bravo, oggi diventi importante molto più facilmente di un tempo. Noi dovevamo fare salti mortali per avere un minimo di visibilità.

Il paradosso è proprio questo: oggi che ci sono più possibilità, più soldi, più tutto, i ragazzi non vogliono fare sacrifici. Alla prima sconfitta non tornano più in palestra. Noi invece, la mattina dopo una sconfitta, eravamo già in palestra ad allenarci per dimostrare quanto eravamo forti. Era una mentalità diversa.

Dove arrivavi, arrivavi. Io ho iniziato piccolissimo con un obiettivo chiaro: dovevo diventare campione. Volevo uscire da tutto diventando campione. Volevo dimostrare chi ero, volevo diventare importante, famoso. Questa era la mentalità, ed era completamente diversa.

Oggi è tutto più facile. “Ma sì, che me lo fa fare a prendere colpi?” Si allenano, si fanno due o tre foto, magari un video al sacco, e pensano di essere campioni. Non hanno voglia di fare sacrifici, questa è la realtà. Le opportunità ci sono, anzi ce ne sono tantissime, anche di più di un tempo. Ma non hanno voglia. Noi eravamo un’altra pasta, amico mio. Questa è la pura realtà dei fatti.

13. SE FOSSI STATO PRO NEL TUO PERIODO D’ORO: QUANTO IN ALTO POTEVI ARRIVARE?

Campione internazionale IBF e WBC, campione intercontinentale WBO, campione dell’Unione Europea. Hai difeso titoli tre volte, hai combattuto per l’Europeo perdendo di misura. Ma non sei mai stato campione italiano, tolto da verdetti discutibili e sfortuna. Se tutto fosse andato per il verso giusto, se avessi vinto quei titoli che meritavi, quanto in alto potevi arrivare? Potevi ambire al mondiale? E c’è un nome, tra i campioni del tuo peso della tua epoca, con cui avresti voluto misurarti?

Ho sempre affrontato avversari di livello, mai pugili di comodo. Il mio primo titolo l’ho vinto contro David Kowalski, un polacco fortissimo che aveva mandato al tappeto Kell Brook. Poi per il titolo intercontinentale ho affrontato il campione di Francia in carica che aveva 13 vittorie e 11 KO. Ho combattuto contro Karim Netchaoui, contro Mimoune che aveva perso di stretta misura contro Giovanni Parisi. Mimoune non era mai andato al tappeto con nessuno, io l’ho messo knockout. Sempre avversari tosti, mai di comodo.

Avrei voluto combattere per il mondiale contro Zaveck quando conquistò il titolo del mondo. Cercammo di organizzare quel match. Zaveck perse poi contro Jackiewicz, quello che avevo affrontato io in Polonia. In quel periodo andavo davvero forte.

Poi ci furono le occasioni con Canelo che non si concretizzò per motivi economici, e il match con Castillo che doveva venire a Cagliari per un mondiale Silver ma non si organizzò più. Castillo salì di categoria dai leggeri ai welter. Ci furono diverse occasioni che saltarono.

Il mondiale mi è mancato, questo è vero. È un titolo che avrei potuto disputare tranquillamente. Oggi ci sono tantissimi mondiali e quello sarebbe stato il titolo che avrei voluto vincere. Ho conquistato tutti i titoli internazionali e intercontinentali nelle versioni più prestigiose. L’Europeo Silver, che prima era l’Unione Europea, l’ho tenuto per due anni. Ho perso di stretta misura contro un campione come Jackiewicz per il titolo d’Europa pieno.

Un titolo del mondo lo avrei potuto disputare senza problemi. Questo è l’unico rammarico: non aver mai combattuto per un mondiale. Però mi sento soddisfatto di aver fatto una bella carriera. Sappiamo tutti quanti sacrifici comporta il pugilato, quindi bisogna essere fieri di quello che si è fatto. Sappiamo anche quanto è rischiosa la boxe. Basta vedere casi come quello di Scardina e di altri compagni per capire dove ti può portare questo sport, che rischi comporta. Alla fine, fare una bella carriera rimanendo indenne e lucido è già una grande vittoria.

14. LA BOXE SARDA OGGI: CRISI O RINASCITA?

La Sardegna non ha più un campione europeo maschile in carica. I risultati non sono quelli di una volta. Eppure il talento c’è sempre stato, lo dici tu stesso. Cos’è cambiato? È un problema di soldi, di visibilità, di strutture? E con il lavoro che stai facendo tu e altri come te, credi che la boxe sarda possa tornare ai livelli di Burruni, Rollo, Udella? Quanto manca per vedere un sardo di nuovo campione del mondo?

La Sardegna ha sempre avuto campioni: campioni d’Europa, campioni del mondo. Ci sono sempre stati grandi pugili nella nostra isola. Ultimamente c’è stato un cambio generazionale e questo ha creato un vuoto. Ora speriamo che i giovani tornino alla ribalta conquistando di nuovo titoli importanti.

Stiamo lavorando tantissimo per questo. Organizziamo grandi eventi e abbiamo dei progetti importanti con la Regione Sardegna che ci sta sostenendo pienamente. Sono fiducioso che nei prossimi anni questi ragazzi conquisteranno titoli importanti e riporteranno la Sardegna nuovamente alla ribalta del pugilato italiano e internazionale.

15. L’EREDITÀ DI BAZOOKA: COSA VUOI LASCIARE OLTRE AI TITOLI

Tra 50 anni, quando i tuoi allievi saranno vecchi maestri e racconteranno ai loro allievi di Luciano “Bazooka” Abis, cosa vuoi che ricordino? I titoli vinti? I colpi che hai dato? Oppure la palestra che hai aperto, i ragazzi che hai salvato dalla strada, il pugilato che hai riportato in Sardegna? Qual è la vera vittoria della tua vita, quella che conta più di tutte le cinture?

Spero che mi ricordino per i tanti sacrifici che ho fatto, per quello che ho conquistato nel pugilato, per aver riportato il pugilato in Sardegna ad alti livelli e per essere diventato un grande organizzatore. Le palestre, gli eventi, tutto questo ha un valore.

Ma la cosa più importante per cui voglio essere ricordato è aver salvato dei ragazzi dalla strada. Averli avvicinati alla boxe, averli aiutati a lasciare le cattive abitudini e ad avvicinarsi ad uno sport bellissimo. Averli salvati e aiutati ad orientarsi verso una vita sana e sportiva, motivandoli a diventare dei campioni.

Questa è la vittoria più grande: salvare dei ragazzi, come ne ho già salvati tanti, e far sì che un domani mi ricordino soprattutto per questo. Questa è una grande vittoria, forse la migliore di tutte. Più di qualsiasi cintura.

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Redazione

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